Da dove viene (e dove va) la Mediocrazia
e di altre collaterali Bagatelle (I)
ECCITAZIONE E SEDAZIONE
L’“Erotismo di guerra” della comunicazione al tempo dei social
di Giampaolo Spinato
C’è una carica di eccitazione allo stesso tempo tragica e carnevalizia nella facilità con cui partecipiamo oggi alla polarizzazione del confronto. È un automatismo un po’ sospetto. Una deviante erotizzazione del conflitto, indifferente al contenuto, ha quasi definitivamente adulterato i presupposti del dialogo, della riflessione, dell’attenzione, dello studio, dell’informazione, dell’ascolto e dello scambio, tutti ridotti a vecchi arnesi dalla prevalente euforia famelica di scontro.
Linguaggio militare
La polemica sulla richiesta di trasparenza che investe in questi giorni le organizzazioni non governative (ONG) è l’ultimo esempio in ordine di tempo. Lo si intravede nel linguaggio militare che suppura sul palcoscenico dei social dove, come di consueto, attaccare e difendere prevalgono su qualsivoglia tentativo di porsi e porre domande. Catechizzati dai canoni dei più celebrati format di infotainment, che da anni erodono la credibilità del giornalismo trasformandolo nella sua caricatura, ci siamo assuefatti ad un’estetica sterile, mediocre, acomunicativa e ad alto tasso di nevrosi.
Non sapendo più decidere se sia nato prima l’uovo o la gallina (è Internet che ha influenzato la televisione o viceversa, e che ruolo hanno economia, marketing e politica in tutto questo?) ci si potrebbe anche persuadere che il carattere maniacodepressivo di certa interazione web trovi proprio nella Rete la sua forma ideale di “contenimento”.
Se non fosse che sempre più spesso quest’isteria ulcerosa va travasandosi nella vita fuoriuscendo dall’utero artificiale e nient’affatto asettico della virtualità per farsi cronaca. Non rimane che stare in paziente compagnia con il dilemma come un po’ ci capita di fare con la televisione e parecchi dei suoi abitanti che, per l’incolumità del mondo reale, ci si augura non escano mai più dal piccolo schermo. Tesi che, peraltro, spesso restituisce un senso al non-senso ammannito da quel pulpito.
Intanto, imparato il catechismo del confliggo quindi sono, le celebrities fanno testo. Per pasturare follower e con essi i potenziali consumatori dei manufatti prossimi venturi c’è chi, in tempo di Isis, si emoziona inneggiando a “armate” e chi si traveste da testimonial contro il cyber bullismo calpestando, ferendo e cancellando chi lo contraddice con gli stessi odiosi metodi che proclama di volere debellare. Per non parlare del Body-StorySelling-Building con cui, consumando senza sosta il suo linguicidio, il «Giovane Favoloso» prepara la controffensiva per la conquista del sacro Graal del web con la piattaforma Bob, che tira in ballo Kennedy ma, guarda un po’, è anche l’entità malvagia che induce all’omicidio in Twin Peaks e, coincidenza, per il lancio online del sito lo staff PD ha aspettato di farsi tirare la volata dalla promozione internazionale della nuova edizione della serie di David Lynch.
Se non è una guerra questa…
Erotizzazione dello scontro
Ma una guerra a cui si abbarbica, perverso, l’ancestrale principio di piacere. Il vocabolario organizzato in guarnigioni e truppe d’assalto è impiegato per aver ragione, asfaltare l’Altro, fare proseliti e pasturare haters a colpi di invettive e insulti. Funziona. Lo dice il traffico sui server. Il linguaggio paramilitare – le sue strategie, le sue tattiche – è tutto quello che ci serve, a parte chiudere entrambi gli occhi sull’oceano di disperazione in cui l’Ego naufraga in questa Paranza del Marketing (1 e 2) a cui si aggrappa dalla sua zattera come a un salvagente.
La conseguenza di questa proliferazione di luogotenenti e colonnelli che lanciano granate al riparo dai veri mortai è l’istituzione di un imperio che riduce il contenuto messo in circolo alla carcassa fossile del suo senso originale, rendendolo mero carburante, feed, mangime, dell’eccitante macchina da guerra, lo sfogatoio permanente in cui la lingua viene dilaniata.
I “rapporti di forza” prevalgono sui significati. Quello che un tempo era terreno di confronto diventa campo di battaglia ed esercitazione. L’esibizione muscolare ha il sopravvento sulle ragioni di cui fingiamo di esser paladini in una nevrotica messinscena utile soltanto ai fini statistici della conta – vedi la Sentiment Analysis e l’indiscriminato uso dei sondaggi – che fornirà a chi ne ha il potere e i mezzi le indicazioni necessarie al design delle opinioni da pubblicizzare.
L’adulterazione del confronto nel mainstream mediatico, d’altra parte, va avvitandosi nella scomposta controffensiva delle testate nazionali che, per arginare l’emorragia di lettori, non sanno far di meglio che esasperare il codice di guerra sacrificando l’equilibrio allo “strillo” e adeguandosi alla politica ipocrita o ignorante di chi lancia poco credibili campagne contro le fake news salvo camminare in precario equilibrio sul filo delle bufale e, soprattutto, del branding personale a cui incredibilmente perfino le istituzioni si aggrappano come alle tende versando oboli pesanti al culto acomunicativo della comunicazione.
La grammatica strategica di marketing da cui è mutuata questa sintassi di derivazione militare d’uso ormai comune diventa così consuetudine e paradigma insinuandosi perfino nella vita quotidiana dove comprimere il confronto nella gabbia dei “rapporti di forza” conduce a una sovraproduzione di macerie che, oltre a inaridirle, inevitabilmente brutalizza le relazioni.
Guarda caso questa modalità guerresca ha la sua apoteosi in un’epoca in cui mai come prima la tecnologia riporta in auge attività che apparivano obsolete come la lettura e la scrittura, facendo però contemporaneamente registrare un analfabetismo di ritorno. All’imperante scuola militare della comunicazione hanno libero accesso tutte le categorie sociali. Nel livellamento tipico dei regimi autoritari che sanno presentarlo come “democratico”, indifferentemente, scrittori e casalinghe si esprimono col vocabolario e la disinvoltura di ufficialetti dell’esercito freschi di diploma.
Tutti colonnelli dell’esercito
Giocano alla guerra, a prima vista, senza sperimentare per davvero sulle proprie carni le granate o l’incamiciatura dei proiettili. Ma, si sa, la guerra comincia dalla menzogna e questa lingua non fa che prepararla. Non c’è altra certezza nell’illusione apparecchiata da una mistica della Comunicazione e Condivisione che assicura le intermittenti gratifiche di cui abbisogna l’Ego, sedandolo con dosi quotidiane di conferme.
In un certo senso si potrebbe dire che il vocabolario di guerra funziona per l’Io come un anabolizzante, garantendogli le proteine utili alla sintesi rassicurante della conferma di esser vivo e, almeno per un po’, immortale. Il collasso dell’Ego è scongiurato dal medicamento ormonale di un linguaggio del tutto afasico, duale, strutturalmente binario, perfettamente rappresentato dal “vero” contro “falso” o dal “+” e dal “-”, i valori unici della tensione elettrica.
Indotto a credere che esprimere ciò che sento qui ed ora, senza riflessione, sedimentazione e spesso senza adeguata informazione, mi garantisca la proattività e lo slancio necessario a superare ostacoli e fatica, cioè quel paio di cosette che caratterizzano la vita, almeno quella adulta, proprio come l’adolescente con problemi di crescita l’Io scodinzola e scorrazza senza meta illudendosi di poter procrastinare eternamente l’ingresso nell’unico mondo in cui può compiersi la sua affermazione e la sua crescita.
In questo contesto avere a portata di click una massa anonima e indifferenziata di interlocutori è come essere messi in grado di arredare una personale galleria incorporea di specchi in cui riflettersi, convinti, mietendo like, follower, “amici” e cuori, di ottenere un riconoscimento che l’Io da sé non sembra capace nemmeno parzialmente più di darsi, soggiogato come sembra alla spasmodica ricerca dell’altrui approvazione.
La comprensione del fenomeno però non può passare dal senso unico di uno sguardo critico sdegnato. Non va sottovalutato infatti come sguinzagliare sentimenti ed emozioni nell’abbacinante vastità delle praterie espressive spalancate dallo scrolling su uno schermo, offra importanti flussi di decompressione a manie depressive dovute a frustrazioni ed altri stati più collerici, esentando dalla loro elaborazione e consentendo di astrarsi dalla realtà per mezzo di una simbolica console sentimentale.
C’è che il “linguaggio di guerra” fornisce una keyboard prêt-à-porter del sentimento di pronta e sempre più equivoca compulsazione. Uno strumento magico che rende disponibile e perennemente praticabile l’Altrove un tempo fantasticato in gran segreto, quasi con vergogna, sempre con autocontrollo e moderazione. Non è un caso che, a differenza di quanto accadeva allora, essere additati come “fuori di testa” o pazzi oggi può diventare un atout e vi sono agenti e uffici stampa specializzati nel capitalizzare i comportamenti (o travestimenti) più psicotici.
Carburante feed mangime
Ma l’Altrove che la téchne senza perizia e il suo linguaggio conflittuale ci porta in dote ha un baco. In questa nuova veste è disinnescata infatti la sua funzione di terreno rappresentativo in cui, incontrando la realtà, andavamo creativamente riscrivendola e modificandola. L’Altrove portatile che la tecnologia ci mette a disposizione si nutre dello stesso mangime preconfezionato e tautologico di cui ridondano i flussi di comunicazione-informazione, precludendo a priori qualsivoglia gesto creativo. È il baudrillardiano iperreale che si rigenera come un’escrescenza ininterrottamente attorno alle nostre meningi e vite, abbagliandole con la promessa eterna e mai mantenuta di tutto ciò che non siamo e spesso vorremmo essere, di ciò che ci è impedito e che vorremmo invece avere o fare.
Questo disciplinamento sentimentale e l’ingannevole reificazione dell’Altrove, tanto caro alla fiducia dei mercati, annienta la capacità di sognare, immaginare e elaborare che era la facoltà trasformativa, per sua natura dialogante, dello spazio simbolico sedato in usuranti moti reattivi. La mentale riscrittura di ciò che ci circonda, dunque la comprensione della realtà e l’invenzione originale e creativa di metodi per migliorarla, modificarla e, a volte, anche solo tollerarla, è sostituita dal pratico sfogatoio in cui abbattere il nemico e ogni altro ostacolo a colpi di click o di like.
Questa vertiginosa illusione di onnipotenza presenta pericoli significativi, fra i quali l’introiezione di un permanente stato militare di combattimento e la rinuncia appunto all’insight, all’invenzione di idee originali e risolutive che solo l’ininterrotto dialogo fra le parti in causa e spesso la compagnia con la frustrazione non espressa sono in grado di generare.
Prima dell’avvento dell’Altrove prêt-à-porter certe forme deleterie di disinibizione erano incentivate dall’uso di stupefacenti e altre sostanze in grado di alterare l’organismo. L’istintualità repressa, ad esempio, la rabbia e sentimenti analoghi di ritorsione o vendicazione, non trovano ostacoli nel cosiddetto virtuale che permette, apparentemente senza procurare danni – fino a quando il dosaggio non è più sufficiente e allora si spalancano le autostrade grottesche e dolorose della cronaca – le sgangherate e penose scorribande che precedono l’improvviso down, cioè quell’improvviso sonnambulismo depressivo dei sensi fino a un momento prima così accesi, proprio come accade con gli additivi.
La comunicazione, nella barbarica, ideologica accezione dominante che la imbriglia nell’uniforme militare, viene smentita nel suo etimo: invece di fare incontrare, divide, invece che coniugare, esaspera e separa, festeggiando l’epoca dominata dal binomio Eccitazione e Sedazione. Un’alternarsi di stati che ha la durata assegnata per configurazione da dispositivi e touchscreen retroilluminati.
Ridotti a questo tossico andirivieni da criceti, prigionieri del loop angosciante e ripetitivo da cui non riusciamo più a sfilarci appena ci troviamo a confrontarci col vasto e variegato mondo che si dispiega appena un po’ più in là del nostro ombelico – fuori dalle mura domestiche, al di là degli interessi e degli scopi perseguiti da noi stessi e dai nostri cari, genitori o figli – siamo però utili almeno ad una causa: il consolidamento della Mediocrazia.
Riferimenti:
Sulla piattaforma Bob vedi, tra gli altri, Affaritaliani.it, ma anche questa timeline lungimirante che già a marzo evocava a proposito la serie tv.
Altri link
Scrivere è un lavoro compiuto solo per metà: siete voi le armate che possono davvero cambiare le cose. Grazie per continuare a leggere. pic.twitter.com/jQh8hGgrVR
— Roberto Saviano (@robertosaviano) January 10, 2017
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Siria: “La guerra comincia dalla menzogna” e “Fra potere e terrore non c’è differenza”
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NEOFASCISMO/ANTIFASCISMO: IMMORTALE IDEOLOGIA DELLA FORMA, RIMOZIONE DELLA SOSTANZA
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