Matteo Renzi: il Linguicidio e il “Farsi Yogurt”

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MATTEO RENZI: IL LINGUICIDIO E IL “FARSI YOGURT”

Caso studio per una scienza ancora troppo sottostimata – la clinica politica – la retorica dell’ex-Premier segnala quanto sia urgente equipaggiarsi con nuovi strumenti per indagare l’inestricabile fluire della psiche nel linguaggio politico, e non solo

di Giampaolo Spinato

L’ultimo dei claim con cui, dal cocchio del survival horror che è diventata la sua realtà, Matteo Renzi frusta i propri cavalli, ce lo dà #InCammino. Pensato tra un patetico giro di trolley e l’altro con annesse infatuazioni social e vuoti di memoria improvvisi, il catechismo in forma di ashtag del «Giovane Favoloso» è il prodromo di un capolavoro arrivato al suo ultimo stadio.

E, no, non si tratta del sanguinante travaso dal Pd al PdR, quel partito del Capo di cui sta mostrando urbi et orbi i veri contorni senza più infingimenti. Per la scalata al Partito Democratico, infatti, il marchesino del Giglio ha contratto più di un debito e, col tempo, per la complicità che ne ha ricevuto e i vantaggi  che non sfuggiranno al suo fiuto, potrebbe addirittura voler risarcire chi se n’è andato.

No, il «capolavoro» del Fonzie di Rignano, che per finanziare la sua irresistibile ascesa staccava biglietti da 30mila euro a cena, si intravede nel trionfale centrifugato di nonsense con cui, pur di riprendersi il centro della scena, non si limita a sfamare il flusso isterico dell’informazione – così famelica al tempo del web – ma si diverte a ingozzarla. Con una aggravante, la crudeltà inaudita. Perché, vista la degenerazione che infetta il discorso politico pubblico, infierire sull’inerme con inutili colpi di grazia, pretendendo perfino l’onore che si riserva alla pietas di chi abbatte gli animali malati, tradisce una perversione che la clinica riscontra soltanto nell’adolescente tutto compreso nella realtà sostitutiva della sua cameretta e della sua playstation.

Nella stucchevole competizione del dire tutto dire niente che contraddistingue il discorso politico oggi, Renzi attinge a strategie lessicali e attitudini di derivazione squisitamente adolescenziali. È tipico del teen-ager tardivo infatti sfoderare nei momenti clou una fraseologia di ineccepibile e spesso sorprendente manipolazione della realtà che, a differenza delle canzoncine o della parole divertenti o imbarazzanti riportate per imitazione al ritorno dalla scuola materna, nella primissima infanzia, vengono concimate scientemente dal soggetto col preciso scopo di mentire e procrastinare qualsivoglia assunzione di responsabilità nel momento stesso in cui afferma (o pretende) di assumerla.

Prendiamo, per esempio, le dichiarazioni raccolte dall’Ansa dove, in puro stile collodiano, un Figliolo che da mesi scalpita nella pelle di ciuchino contrito che il referendum gli ha cucito addosso evoca il pianto del su’ “babbino” alla notizia che avrebbero cercato di incastrarlo.

Ora, al netto delle verifiche del caso  – e dei diversi altri indizi e testimoni che avrebbero inguaiato Babbo Renzi – che statura ha, quale credibilità può avere un politico che come il più cinico degli operatori di Borsa, per trarre il massimo vantaggio dalle pericolose oscillazioni degli indici che mandano in fibrillazione il mercato delle indiscrezioni giudiziarie, ricorre al format soap-opera per suscitare sdegno ed emotiva partecipazione alle sorti della sua sacra famiglia?

A furia di apparentare l’elettore all’audience e di misurarne l’intelligenza con i parametri delle ricerche di mercato, la politica e il suo linguagMATTEO RENZI: IL LINGUICIDIO - GiampaoloSPinato.itgio sono diventati materia da infettivologia.

Nella loro calcolata protervia, i giovanotti mondani alla Renzi forse si illudono se pensano che nella massa indifferenziata presa a campione non vi siano robuste stratificazioni di persone che, come loro, sanno fare i figli d’androcchia. Come hanno imparato ormai a loro spese anche i sondaggisti, mangiata la foglia, fosse soltanto per il gusto di scombinare le carte, molti fra gli intervistati non dicono affatto quello che pensano. E, fra questi, vi sarà pur qualcuno, magari pasturato da Reality e da Talent al cinismo puro – l’utilità dell’elettrodomestico televisivo! – che non si lascia commuovere dagli sketch di un giovane imbolsito e col labbro tremulo di pianto come la notte del 4 dicembre.

Fra i campioni di yogurt e fili interdentali interscambiabili per il sondaggista con l’elettore da compulsare, vi sarà pure chi, invece della vittima sacrificale, vede e riconosce nell’ex-presidente del consiglio un signore che qualche credito qua e là ha ancora da riscuotere e che ancora gode di un qualche privilegiato canale informativo, altro che Pinocchio in lacrime per la Fatina.

Ma il capolavoro a cui lavora alacremente Matteo Renzi con il sostegno dei suoi sponsor è molto più inquietante di quanto facciano pensare la sua “parola di lupetto” o il suo essere recidivo – quando infila nei discorsi figli, nipoti e parentadi vari, proprio come Lotti e Boschi, o quando illustra riflessive gite con il trolley e si emoziona – il lugubre suo capolavoro si realizza nel percorrere con cinico autocompiacimento stadio dopo stadio il più estremo ed esauriente svuotamento di senso.

In quale altro modo si può definire la tattica discorsiva di un personaggio che il giorno prima inciampa sul formulario normalmente usato per le deiezioni – “La verità viene a galla!” – e il giorno dopo afferma in pratica il contrario: “Mi sentirei un omuncolo se oggi dicessi ‘avete visto che è successo’…”?

Anche nei modi con cui va regolando i conti con i suoi avversari, Renzi annaspa in una palude retorica da cui suppura l’ansimante, astiosa urgenza di rivalsa che lo dilania insieme agli spin doctor che gli hanno messo in bocca roboanti annunci – dalla piattaforma Bob, che tutti ancora aspettano con ansia, al Blog (https://blog.matteorenzi.it/) nato e defunto prematuro – indice della rabbia che gli sta montando dentro in questi mesi.

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Attenti però a darlo per vinto, a liquidarlo come perduto e tetro. Questi segnali, insieme alla recente, disinvolta aria minatoria che lo ha spinto a minacciar querele a destra e a manca sono l’indizio (forse l’inizio) della sua disfatta definitiva. Una disfatta che però nasconde un tranello. Senza dover più rendere conto a uno straccio di opposizione nel suo stesso partito, Renzi può infatti permettersi di gettare la maschera. La disfatta, cioè, non è cosa che davvero lo sfiori perché si tratterebbe soltanto dell’ennesimo funerale della politica così come si conosceva nell’éra pre-berlusconiana. E, come tale, la presunta sconfitta coincide con la sua pasquale resurrezione dalle ceneri nella sontuosa e rinnovata veste, linguisticamente parlando, psicotica tanto cara ai leader populisti.

Con buona pace delle anime vergini, la Politica ormai si è fatta un vecchio arnese e la sua lingua, i suoi comportamenti, vanno osservati con gli strumenti della clinica, molto più stringenti ed efficaci per leggere (e forse prevedere) a quali distruttive azioni può condurre l’accumulo di frustrazioni.

Il capolavoro tanto temuto non si compirà perché per compiersi il politico che leggeva l’elettorato come un barattolo di yogurt dovrebbe a sua volta riuscire a farsi yogurt, proprio come la realtà smentirà per sempre l’adolescente bipolare che “vive” ritirato nella sua cameretta, “dentro” una playstation. Ma lo scarto tra reale e virtuale maturato nella lingua ormai è al suo minimo storico. Ed è nella lingua, si sa, che noi viviamo e ci concepiamo. E la sua impunita brutalizzazione, l’infamante linguicidio perpetrato dal politico per avere consenso, non è esente da conseguenze.


 

 


About Giampaolo Spinato

(Milano, 1960) ha pubblicato Pony Express (Einaudi, 1995), Il cuore rovesciato (Mondadori, Premio Selezione Campiello 1999), Di qua e di là dal cielo (Mondadori, 2001), Amici e nemici (Fazi, 2004), La vita nuova (Baldini Castoldi Dalai, 2008). Scrittore, giornalista freelance e docente universitario, scrive per il teatro e ha fondato Bartleby – Pratiche della Scrittura e della Lettura.

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