Lo “stupro” di Debora

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LO “STUPRO” DI DEBORA

E lo sguazzar m’è dolce in questa latrina

di Giampaolo Spinato

Il «caso Serracchiani» è il punto di svolta che chiarisce una volta per tutte a quale tragico livello di saturazione parossistica sia giunto l’uso di fatti o presunti fatti riportati nell’immediatezza degli eventi, spesso con pochissimi riscontri, a soli fini strumentali e di ricerca del consenso da parte di esponenti politici e, quel che è anche peggio, da parte di figure che rappresentano le istituzioni.

Una ragazza minorenne in stato di choc, soccorsa dalle forze dell’ordine, consente l’individuazione del presunto aggressore che viene sottoposto a misura cautelare. Molti giornali, dando la notizia, parlano di stupro (10 maggio). Il comunicato della Questura parla, tra le altre violenze consumate dall’iracheno 26enne fermato, anche del tentativo di “consumazione dell’atto sessuale” (11 maggio). Il 14 maggio si viene a sapere che il Gip (giudice per le indagini preliminari), accertate le responsabilità dell’aggressore, dispone nuovi accertamenti per chiarire “zone grigie e lacune” nella dinamica dei fatti così come raccontati da quella che, certifica, è e rimane in ogni caso la “parte offesa”.

Appurata la drammaticità di un evento che coinvolge una minorenne, nella cronologia delle cronache e dell’iter giudiziario si registrano alcune discrepanze. La stessa vittima e la madre, per esempio, negano la consumazione della violenza sessuale (12 maggio) con ciò protestando esplicitamente contro quanto riportato dai giornali. Questo non diminuisce la gravità del fatto, è ovvio. Ma il giorno prima (11 maggio) sull’onda del clamore suscitato dalla notizia il Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia dichiara in un tweet, prima di ribadirlo in altre interviste, che “la rottura del patto di accoglienza” costituirebbe un’aggravante alla consumazione di uno stupro che, se “compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese”, risulterebbe “socialmente e moralmente ancor più inaccettabile. Come se un qualsiasi stupro non costituisse in sé un odioso oltraggio all’umanità, e di conseguenza la rottura di un “patto” di civiltà esistente a priori, chiunque sia a perpetrarlo.

Una plateale sollevazione popolare sul web registra l’assurdità giuridica, oltre che culturale, di tale affermazione che, alla luce degli eventi, oltre a tradire un’intempestività e un pressapochismo greve, presta il fianco a comprensibili accuse di strumentalizzazione elettorale. Amministrato ed espresso nel Salvini Style che ormai ha fatto scuola, l’aberrante sintesi di Serracchiani – che, non contenta, ribadisce il suo concetto ieri (14 maggio), difesa da calibri di prezzolata intelligenza come Mieli e Michele Serra, e poi ci si domanda perché qualsiasi Auctoritas sia in crisi – è la plateale, drammatica prova del crash frontale a cui è destinata la generazione Erasmus capitanata dal The Young Fab (Matteo Renzi).

Ossessionati dallo storytelling, ma privi di qualsiasi competenza narrativa, ne declinano scompostamente la variante più aliena da qualsivoglia ombra di pensiero. Praticano cioè quel linguicidio che è proprio della spasmodica, angosciante necessità di “fare cassa” tipica di quella cinica variante: lo StorySelling, un’ansimante degenerazione del principio di persuasione che, nella logica dell’eccitazione e sedazione che avvelena la comunicazione, ambisce a sollecitare una nevrotica reattività di natura gastrointestinale che, secondo i loro calcoli, allargherebbero la fascia del consenso.

Il tutto in piena scienza e coscienza o, indifferentemente, nella tronfia, arrogante ignoranza dei “sensi” maldestramente manipolati. Il tutto per un pugno di voti effimero e ondivago che in un giro di clock si trasformerà in un pugno di mosche. Il tutto con l’unico risultato, spesso, di venire smascherati da quanto si afferma – non a caso Forza Nuova ha “saputo” usare Serracchiani come proprio testimonial – dimostrando una definitiva scarsa predisposizione non solo alla comunicazione, non solo alla tanto sbandierata “narrazione”, che richiederebbe ben altre competenze, ma al semplice pensare, sacrificato al rastrellare voti.

Quello che è ancor più grave è che questo permanente festival del pensiero ripugnante è agito dall’Istituzione e non solo dal singolo politico. Oltre a essere ancor più deleterio e odioso è un attacco istituzionale alla dignità, alla lingua, all’identità di un Paese la cui “ignoranza” non si esprime più, a questo punto, come sostengono i soloni dell’informazione, nel web o nel disgusto espresso nelle forme popolari in rete, ma attraverso le sue stesse, pretese istituzioni, ostaggio di politici arroganti e pronti a vendersi la madre pur di garantire a sé e alla propria familistica genìa il posto al sole faticosamente conquistato.

Questa è la vera «emergenza rifiuti» del Paese, altro che boy scout e #magliettegialle. Rifiuti tossici. Una Terra dei Fuochi della lingua che, a furia di piegare il pensiero (anche politico) alla monetizzazione del consenso, ha asservito le menti di un’intera classe dirigente all’imperio della “vendita”. Con una sovraproduzione di macerie e “stupri di senso” che a qualche «Giovane Favoloso» ispira gongolanti versi come:

E lo sguazzar m’è dolce in questa latrina.

E c’è da augurarsi, per lui e per tutti, che qualcuno gliela ricacci in bocca tanta poesia.


About Giampaolo Spinato

(Milano, 1960) ha pubblicato Pony Express (Einaudi, 1995), Il cuore rovesciato (Mondadori, Premio Selezione Campiello 1999), Di qua e di là dal cielo (Mondadori, 2001), Amici e nemici (Fazi, 2004), La vita nuova (Baldini Castoldi Dalai, 2008). Scrittore, giornalista freelance e docente universitario, scrive per il teatro e ha fondato Bartleby – Pratiche della Scrittura e della Lettura.

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