28.11.02
Musica
Fulvio Paloscia
Tre note dal basso cambiano il mondo
“Ico No Clast“ di Giampaolo Spinato.
La rivolta punk di Sid Vicious diventa la parabola dei nuovi dissidenti
Fulvio Paloscia
Il soldato calabrese diventa punk. Si toglie l’elmetto e scopre capelli appuntiti, mostra il dito medio e vomita rabbia sul mondo. Dopo aver urlato la parola pace per bocca di un milite ignoto, quello inventato dal drammaturgo Francesco Suriano (Roccu u stortu, acclamato come uno degli spettacoli-rivelazione dell’anno), l’attore e regista Fulvio Cauteruccio rimane in trincea, solo che al posto del fucile imbraccia il basso e mette in scena gli sberleffi tossici e autolesionisti di Sid Vicious. Lo spettacolo s’intitola Ico No Clast, ne è autore Giampaolo Spinato, che ha scritto il testo su invito di Cauteruccio. Va in scena al Teatro Studio di Scandicci, a Firenze, dal 3 al 15 dicembre (ad anno nuovo la tournèe), il marchio è sempre quello della compagnia teatrale Krypton che prosegue la propria ricerca nella contaminazione tra teatro e rock iniziata nel 1983 con Eneide, musiche dei Litfiba migliori, quelli new wave: stavolta tocca a Peppe Voltarelli, voce e chitarra del Parto delle Nuvole Pesanti (già autori, con la loro pizzica rock, delle musiche di Roccu) e a Marco Messina, mente elettronica dei 99 Posse (che, con Meg, per Krypton, ha dato canzoni ad una tecnologica Tempesta di Shakespeare, firmata dall’altro Cauteruccio del teatro di ricerca, Giancarlo: il cd è appena uscito a firma Nous); due musicisti diversissimi, accomunati dal retroterra punk, per la prima volta coautori di uno stesso progetto. E non poteva mancare un omaggio al “no future” italiano: Giovanni Lindo Ferretti, che con i Cccp ne è stato la voce più celebrata, insieme a Gianni Maroccolo ha regalato un brano inedito a questo viaggio lancinante, di appena un’ora e venti, nell’universo Sid (gli altri interpreti sono Paolo Lorimer ed Emanuela Villagrossi: rivestono ruoli-simbolo della vita di Vicious, il maschile e il femminile, il padre e la madre, Malcom Mc Laren e Nancy): s’intitola P.C.
Voltarelli e Messina suonano dal vivo la rivisitazione di Anarchy in the Uk, God save the Queen, Submission, Problems e tre nuove canzoni, dove il suono è ridotto all’osso e la voce declama più che cantare, dove è punk l’approccio noise più che la forma o il contenuto: «Abbiamo lavorato a distanza» racconta Messina «e quando ci siamo incontrati abbiamo scoperto d’essere d’accordo su molte idee. Io ho lavorato sui rumori: dall’hard disk del mio computer ho tirato fuori quelli indesiderati e imprevisti venuti fuori durante registrazioni dei 99 Posse – un mugugno di Meg, una bottiglia di plastica – ai quali ho aggiunto quelli campionati giusto per lo spettacolo, come l’attrito, il soffio dello stantuffo in una siringa, i rumori fisiologici». Li ha trasformati in suono, in ritmo, in musica; Voltarelli ci ha messo la chitarra, le parole: «Abbiamo tolto sempre di più, scarnificato, abbiamo raschiato il fondo per avvicinarci al significato vero e profondo delle cose», spiega.
Il risultato è uno spettacolo che mette a dura prova le parole e il loro senso arrivando ad un grado zero del linguaggio «che ricorda» dice Fulvio Cauteruccio «il progressivo prosciugamento verbale di Beckett, grande punk della drammaturgia»; una pièce, aggiunge Spinato «sull’ancestrale “No” del punk, per provare a cogliere i segni attuali e urgenti della sua paradossale vitalità . Scegliere di guardare la verità scabra e non consolatoria di quel no significa rischiare, nelle forme, nei contenuti, per non parlare dei buoni sentimenti, i punti di vista più rassicuranti, i convincimenti etici, politici e religiosi che, spesso, si danno per scontati». Un evento spiazzante, duro, scomodo, militante e necessario: «Un vero e proprio pungolo per il pubblico, una presa di posizione in un’Italia dove la disobbedienza è reato», dice Messina che si è sempre schierato con il punk “rosso” dei Dead Kennedys, più che con quello anarcoindividualista dei Sex Pistols.
Facile parlare di punk in un momento in cui dall’America ne arrivano echi molto glamour. Ma non è per cavalcare l’onda che Fulvio Cauteruccio, 36 anni, ha deciso di dedicarsi a questo progetto: «Sono un figlio del Settantasette: il Sessantotto non ha lasciato tracce nella mia generazione, il punk sì, anche se in forme diverse e nascoste: le tre note ripetute fino all’ossessione nel drum’n’bass e l’elettronica estrema sono punk, la pirateria telematica idem. E anche la mia idea di teatro lo è: non vedo differenza tra alto e basso, proprio non ci riesco e non posso costruire uno spettacolo se non guardo Mtv, che mi ispira ben più dei mostri sacri della regia contemporanea».
Nell’era della supervelocità e di grandi fratelli più o meno televisivi, «il punk rimane un buon breviario di sovversione proletaria» dice Voltarelli «ha messo in mano chitarra, basso, batteria a chi non li aveva mai suonati dicendo “fregatevene. Con tre note potete spaccare il mondo”. Ecco: i Sex Pistols ci hanno insegnato che basta poco per avvalerci del sacrosanto diritto di dire no, per smascherare dal basso ed è a questo poco che dobbiamo ritornare. In fondo, anche i no global partono da principi simili”.