Geremiadi tardive di intellettuali nostrani
di Massimo Sgorbani*
Accusato in tivù da Giuseppe Caldarola di non conoscere Gramsci, Diego Fusaro risponde sul sito de Il Fatto Quotidiano rendendo noto che lui Gramsci lo conosce eccome (ci ha pure scritto un libro) e che conosce perfino Socrate, Platone e il greco antico di cui si serve per invocare il logon didonai di contro all’insulto livoroso.
Fa una certa impressione che al “filosofo” Fusaro, fustigatore del Capitale e dei Dominanti, sfugga che parte di ciò che fustiga è la riduzione della comunicazione a prodotto di consumo, il fatto cioè che sempre più spesso le opinioni circolino sotto forma di dibattiti stipati nei tempi e nella sintassi della televisione o, sulla carta stampata, nella brevità delle 1500 battute di cui qualche giorno fa si lamentava Michele Serra. Formati correnti che rendono più appetibile, e quindi fruibile, l’opinione che, se proposta in forma più estesa e articolata, otterrebbe di sicuro meno ascoltatori e lettori. Ora c’è da farsi una serie di domande:
– chi obbliga i Fusaro o i Serra a svolgere il loro lavoro di “intellettuali” utilizzando anche quei formati?
– da “intellettuali” non dovrebbero sapere meglio di altri che in televisione “la forza ermeneutica” soccombe a “quella della voce alta”, o che 1500 battute non sono sufficienti per affrontare temi complessi e sfaccettati?
– ignorano, i Fusaro o i Serra, che la loro popolarità (o visibilità che dir si voglia) dipende in larga parte dall’accettazione per niente scontata delle regole della comunicazione delle quali poi si lamentano?
Giusto a mo’ di esempio cito parte di un intervento di Jacques Derrida a cui la rivista Lignes nel 1997 chiese di dare una definizione di “intellettuale”. Ecco cosa dice Derrida:
«In primo luogo come non protestare contro il formato richiesto per la risposta a una serie di questioni così complesse? Due o tre pagine! Senza mettere in dubbio le vostre intenzioni, va da sé, ci si può allarmare per questo semplice fatto: nella sua “figura” questa griglia non rischia forse di riprodurre le costrizioni all’interno delle quali spesso ci capita di dimenarci? Le norme contro le quali noi (alcuni di noi) ci battiamo per assumere degnamente ciò che tentiamo di far riconoscere e cioè delle legittime esigenze di “intellettuali”? Senza la mia amicizia per Lignes non avrei mai accettato di piegarmi a queste “regole”. Probabilmente avrei perfino rifiutato per dovere “politico”, presentendo di dovermi concedere alle esigenze di certi mercati e poteri “mediatici”, gli stessi rispetto ai quali ci proponete di schierarci».
*Massimo Sgorbani è un drammaturgo.