Sarah è viva. Sarah è l’unica persona ancora (già ) viva nello spettrale, spietato rispecchiamento della nostra stessa morte offerto dal modo con cui, come individui e comunità, stiamo partecipando alla sua scomparsa. Sarah è viva perché il silenzio a cui l’ha condannata l’irrimediabile oltraggio subito si è trasformato nell’unica, limpida scaturigine di senso. Grazie a Sarah e alla violenza che ha segnato il suo destino di giovane donna ancora alla ricerca della propria identità – in una realtà in cui il Mercato si applica con ogni mezzo per sottrarla e così salvaguardare il ciclo virtuoso di un’economia che ci vuole consumatori reattivi ed infantili, cioè meno uomini e meno donne – grazie a Sarah, i fatali, infausti contraccolpi dell’ultimo tabù che l’inciviltà economica a cui ci siamo rassegnati è strenuamente impegnata a cancellare per terrore, la morte, sono smascherati. Dal giorno della sua scomparsa, le ipotesi, i clamori, le ansie e le paure mediaticamente festeggiate, mai condivise, l’ininterrotto sanguinamento di interrogativi e perfino i colpi di scena più spiazzanti e concitati, l’accavallarsi strumentale, ingenuo o scaltro, di investigazione e rappresentazione, tutto ciò non fa altro che esaltare per contrasto la sua Presenza ineludibile. Sarah c’è. La sua apparente assenza è un monologo assordante, fitto di domande, verità spietate, sensi di colpa su cui nessuna informazione potrà mai fare alcuna luce. Così come, questa volta, non potrà cancellare la potenza della Presenza-Assenza che si illude di potere esorcizzare. Perché è vero che “troppa luce abbaglia”, come diceva Siegfried Kracauer, e che il dispiegamento dell’industria mediatica non garantisce affatto la comprensione di ciò che accade, come è avvenuto per le Torri Gemelle, attentato di cui abbiamo visto tutto e non sappiamo quasi niente. Ma stavolta il re non è nudo. Il re stavolta è scuoiato dalla forza inaudita di una Voce esile e innocente, le cui urla nessuno ha sentito allora, ma il cui messaggio risuona ora inconfutabile, mostrandoci le putrefatte spoglie dell’inciviltà economica a cui apparteniamo. La fame atavica dell’audience non è più il compassionevole, legittimo bisogno di risposte a domande ancestrali, ma un buco nero che risucchia pezzo per pezzo quello che rimane della nostra natura non fisica, lacerata e negletta dall’inciviltà economica. Il presunto cinismo dei media è una conseguenza fisiologica. Altro che educare, suggerire riflessioni. Essi devono riempire il buco, ingozzare fino al rigurgito le bocche protese e spalancate dalla bulimia che le attanaglia. La demenza infetta che suppura dalle labbra degli esperti che se ne fanno complici ricadrà su di loro. Perché la Voce della giovane promessa di donna di nome Sarah Scazzi spazza via la più composta delle loro discettazioni, sfugge al linguaggio notarile, razionale, e perciò rassicurante, delle ordinanze processuali, pesa come una pietra tombale sul dormiveglia di chi copre il suo eloquente, inconsolabile silenzio con una balbuzie logorroica assimilabile all’afasia, altra allarmante spia dell’autolesionismo in cui ci proietta l’inciviltà economica. Non c’è una sola risposta che non sia già stata pronunciata con cristallina, misericordiosa pena dalla Voce muta di questa giovane donna. Quando dice Non ci sono più. Quando chiede, a tutti, Chi di voi mi ha fatto questo? Quando descrive dal suo vivido altrove, costretta a lasciare le sue spoglie mortali, lo squallido paesaggio di falsità e di morte in cui, senza avere animo di tirarci indietro e tacere, abbiamo deciso di vivere una vita che, al cospetto della viva morte di Sarah, appare solo apparente, così somigliante alla morte.