“Piacciabilità” e disperazione sistemica (Appunti)

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“Piacciabilità” e disperazione sistemica (Appunti)

Caricando ogni spazio dialogico ed espressivo della disperata “piacciabilità” a cui affidata la ricerca permanente di conferme, ci priviamo della naturale, costruttiva elaborazione e trasformazione dell’esperienza (anche politica) che potrebbe scaturire dall’incontro di punti di vista, visioni, prospettive, idee. Preoccupati come siamo, cioè, di “vendere il prodotto”, e non  di relazionarci con un “senso”, ci sfugge, parlando, dialogando, discutendo, la primaverile gemmazione di quell’escrescenza viva, organica, che il sensuale corpo a corpo di significati e sguardi “altri” è potenzialmente in grado di germinare e mettere in circolazione. A questa rinuncia, questa privazione, si deve lo statuto di guerra che ha sequestrato la comunicazione e l’escalation esponenziale sul versante dell’equivoco, dell’ambiguità e del fraintendimento insiti nel linguaggio. Equivoco, ambiguità e fraintendimento che, in radice, non è affatto certo che abbiamo precisamente la funzione di proiettare i partecipanti ad un dialogo nelle rassegnate battaglie che sperimentiamo quotidianamente, anzi. Suggerendo (e contenendo) la stessa lingua che adoperiamo, l’alterità di opposti ai pensieri appena espressi, ci indica una strada. Quella della compenetrazione, della corale rielaborazione, del reciproco riposizionamento (per chi sia più incline alla funzionalità più ottusa del gergo meccanico) per riconoscere il pensiero terzo, il “figlio”, che l’amplesso dei due punti di vista ha generato. E che la spasmodica, malriposta prevalenza di un legittimo bisogno di riconoscimento cancella dalla nostra vista.

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