28.02.04
Tuttolibri – La Stampa
Nell’affaire Moro, l’orrore del potere – Giovanni Tesio
«Amici e nemici» di Giampaolo Spinato: la cronaca trasformata in avviso morale, la psicologia in destino, un gruppo di liceali su opposti fronti
Di ambizione non manca Giampaolo Spinato, quarantaquattrenne milanese che esordì nel ’95 da Einaudi con una storia d’apparenza minimale e che poi ha inseguito nei due libri successivi un impegnativo percorso d’indagini interiori. Nel suo quarto romanzo, «Amici e nemici», pubblicato da Fazi, l’ambizione è altissima. Già il titolo designa una contrapposizione netta, una dicotomia risoluta. Ma sono poi soprattutto la materia e la narrazione a mettere di fronte ad una storia forte, a una scrittura prensile e complessa, ad un ritmo serrato di azione e riflessione.
Spinato guarda nientemeno che dentro il delitto Moro e disegna una scena dell'”affaire” che pur non venendo mai meno alle necessità del contesto tutto indirizza ad una valenza ulteriore, ad una sorta di “exemplum” che nella cifra di quei giorni va cercando il segno e il senso di un valore che sta oltre. Nessun nome esplicito, nessun parto o patto anagrafico, ma personaggi riconoscibili e nello stesso tempo sfuggenti, ricchi d’una loro allusività remota che trasforma la cronaca in avviso morale, la psicologia in destino, l’esistenza in emblema, avendo per motivo dominante l’orrore del potere, la sua arroganza pervicace, la sua lucida e burocratica e perversa determinazione.
Tutto comincia la fatidica mattina del 16 marzo 1978, un commando che attacca la scorta del Presidente, che lo sequestra, che lo processa, che lo giustizia e che durante i cinquantacinque giorni della prigionia lancia messaggi al Palazzo arroccato dietro la parola d’ordine di non cedere al “ricatto”. Un copione già scritto in cui s’innesta però a sorpresa un’altra partita che si combatte tra uno degli appartenenti al commando ferito nello scontro a fuoco (nome di battaglia, “Comandante Leto”) e una misteriosa
coppia che riesce a farlo prigioniero, a torturarlo, a tenerlo in scacco in pro d’una contrattazione d’esito estremo.
Infine, terzo filo di un intreccio che alterna i diversi scenari, il romanzo accoglie un’altra partita che si gioca dentro un gruppo di giovani liceali oscillanti sui due fronti dello schieramento politico. E dentro tutto questo un muoversi gremito di azioni e di figure che interpretano in traiettorie complesse di vissuto e di vita, di etica e di politica, i sentimenti basici d’odio e di amore, di paura e di coraggio, di realtà e di utopia, di vendetta e di pietà, di ipocrisia e verità : “La Verità più vera, autentica, che vive del Sospetto. Quella incrostata in cavità dolenti, nel cuore del Segreto, nel suo spiegarsi senza prove, documenti”.
A catturare e a tenere insieme la varietà degli ambiti e delle situazioni è un linguaggio plurimo e frastagliato, che si regge su un’ampia scelta polifonica. E direi che tutto il testo – tra didascalie, sticomitie, recitativi – viva di un felice intreccio di voci, tanto da far pensare a un oratorio, ad un’azione drammaturgica romanzata, a una disposizione teatrale, insomma, che nemmeno manca in punti nodali di dare trama ad un vero e proprio ordito poetico.
Non tacerò come nella prevedibilità della storia portante – nel destino segnato della vittima designata – resistano gli interrogativi fondamentali sul cui senso profondo Spinato non fa né sconti né misteri. Non a caso nella scena finale del corteo per i funerali del Presidente, resiste il sospetto di una “verità ” che continua a stare da un’altra parte. Non a caso nella nascente storia di un amore giovanile, la domanda che chiude il romanzo (“Come può esserci futuro senza un sogno?”) sgorga da acque finalmente
limpide e vitali.