LA POSTA IN GIOCO

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Sul numero di agosto di LINUS:

La posta in gioco

di Giampaolo Spinato

Che un comico chieda di potersi candidare alla leadership di un partito dovrebbe far pensare. Un comico, per sopravvivere, deve sapere dare voce alle fantasie represse, indagarle, permettersi di nominarle, trovarne il lato ludico, magari per disinnescarle. Proprio quello che deve saper fare – e molto bene – un qualsiasi demagogo. Dunque, un comico deve, prima di tutto, saper trattare con la pancia del suo interlocutore. Deve riuscire a farlo sognare. Abbattere, per lui, il grigiore doveristico e assillante della quotidianità e del dover essere. Spalancargli spazi di immaginazione in cui la fantasia possa finalmente sguinzagliare libera o anche, quando è il caso, allestire un vero e proprio pascolo immaginario in cui ciascuno possa letteralmente far scorrazzare i maiali, chè non si potrà sempre stare in punizione, ce ne dovremo pure far qualcosa degli istinti di cui madre natura ci ha dotati. Attitudini, queste, tutte, che apparentano il comico al politico, il quale ha però il vantaggio di non dover necessariamente far ridere, anzi, di potere talvolta legittimare le rabbie e le paure più recondite della gente a cui chiede consenso, plasmandole secondo il proprio interesse. Dunque, qualsiasi sia l’esito della sua richiesta, il comico che si candidi alla guida di un partito consegue in ogni caso due eclatanti risultati che il broncetto indignato dei suoi detrattori preferisce non voler vedere. Uno: snuda definitivamente l’intima natura che deve necessariamente appartenere a un politico di razza, il quale, piaccia o no, sa e può trarre una notevole dote di strumenti di persuasione attingendo alla scienza dello spettacolo e alle tecniche dell’imbonitore. Sarà anche per questo motivo che, con scandaloso tempismo, qualcuno recentemente ha pensato di formare giovani soggetti politici per le elezioni vagliandone in primis le più grezze predisposizioni individuali allo showbiz (look, disinvoltura, loquela e abilità all’infingimento). Ma basterebbe riflettere ai curricula di molti fra i soggetti protagonisti della cronaca politica quotidiana per osservare, fra ex-animatori, ex-soubrette o musicisti dilettanti, quanti di loro abbiano davvero saputo avvantaggiarsi di una gavetta da intrattenitore sulle navi da crociera, nei villaggi turistici o nei cabaret più scalcagnati. Dal palcoscenico, attraverso il filtro accecante dei riflettori, il frastornante mondo dei desideri dell’audience si appalesa più nitido, permettendo all’attore più sensitivo di capire quali di quei sogni vanno blanditi, insieme ai loro titolari, indirizzandoli a proprio vantaggio. Due – secondo esito di un gesto che miopi burocrati di partito chiamano boutade: chiedendo di sedere accanto a chi si contende le leve del potere, il comico smaschera se stesso, rivelando l’ineluttabile aspirazione ben dissimulata dalla satira che, sbeffeggiandoli, spesso adula i propri bersagli, come dimostrano i frequenti esempi di furori giovanili addomesticati da prebende e bolsi ruoli da opinionisti, magari dopo anni di militanza satirica. Non sorprende affatto che tutto ciò accada nel Paese che ha dato i natali alla Commedia dell’Arte. Stupisce piuttosto che ci si attardi ad indignarsene, mettendo la testa sotto il tappeto e, nel migliore dei casi, dimostrando poca lungimiranza. Il partito che ha paura di un comico tradisce lo stesso sbando in cui sembra averlo relegato la vertiginosa ascesa di un collega di quello ai vertici delle istituzioni. Un diabolico senso di colpa, radicato forse in alcuni fra i più coriacei equivoci dei dogmi di tradizione cattolica, di cui siamo impregnati, impedisce ancora alla nostra democrazia la convivenza di figure politiche che altrove – si guardi a Schwarzenneger e, per contro, a un Obama, negli Usa – partecipano da tempo alla vita civile della nazione, esercitando anche funzioni istituzionali senza che la plateale disparità delle storie personali faccia più stracciare le vesti ad alcuno. Ma, restando in Italia, finiti i tempi di memoria democratico cristiana – il cui unico, consolatorio pregio, va ricordato, era l’emancipazione dell’Italica commedia a sanguinosa cronaca shakespeariana, con tanto di cadaveri ammucchiati, e neanche troppo allegoricamente – appare sorprendente assitere oggi alla regressione con cui, risfoderando i canovacci degli progenitori, si rimettono in sella Arlecchino, Brighella e Pantalone, non senza traffici d’alcova alla Feydeau. Non è tuttavia lasciandosi fuorviare dalla farsa patinata offerta in questi anni dalla Compagnia dei Comici – che deambula fra smentite giornalistiche e prestigiose ville, di tanto in tanto formalizzando nelle appropriate sedi decisioni prese altrove – che si può cogliere l’entità della posta in gioco nella progettazione di un’opposizione, di un partito che aspira a dispiegare qualcosa di realmente alternativo. Risvegliandosi da questo incantesimo, qualcuno, prima o poi, dovrà pur determinarsi a restituire alla politica il suo magistero, inventandosi un modo per mettere insieme il volto e l’anima, coniugare ideale e reale, continuare a scrivere, nei programmi e nei fatti, quel sogno senza il quale non ci è permesso di vivere. Anche rinunciando a cercare fenomeni dove non ce ne possono essere, dovrà pur essere possibile guardarsi quietamente allo specchio – la vacanza e il tempo che intercorre da qui alla Convenzione e alle primarie di ottobre del Partito Democratico si prestano a questa elaborazione – e, buttando il sasso oltre lo stagno, domandarsi dove viviamo, cosa vogliamo, perché crediamo impossibile una reale alternativa, come si è arrivati a questo e come se ne può uscire, quando e chi può contribuire a farlo senza scimmiottare una parodia che, sull’opposto versante, tra l’altro, va sgretolandosi da sé. Sedersi però sulla riva e aspettare che passi il cadavere, come molti all’opposizione sono tentati di fare, è controproducente e rischioso, tanto quanto la farsa al quadrato prodotta dall’imitazione. Privi dei mezzi di persuasione dell’avversario, la recita delle pugnalate alle spalle e dei servitori di due padroni avrebbe il respiro di una tournèe con un’unica data alla sagra del castagnaccio. Discutiamone. Mettiamo via certe facce da prevosti, per cominciare. Lasciamo i parroci alle loro parrocchie. Perché quell’aria da Peppone e don Camillo? I crocefissi, oggi, parlano davvero. Possibile non ne sentiate gli urli? E quelle diatribe da cortile, certe disfide per bande, la sufficienza sdegnosetta con cui battibeccano indispettiti fra di loro e con i giornalisti, tra un giretto in barca a vela e una seduta dal notaio per limare i commi dello statuto del partito? E’ così difficile comprendere che il tempo a volte può essere davvero inesorabile e, dunque, essendo oggi l’agone politico – per volontà anche loro – una specie di X Factor, il front man che deve spendere la propria faccia per tutti non può possedere un pedigree su cui si intraveda la falce e martello, e forse nemmeno lo scudo crociato? D’altro canto, è davvero impossibile pensare che una storia, almeno il know how amministrativo – quello sano – accumulato dagli ex-democratici di sinistra, per esempio, non possa servire la causa del gruppo, stando alle percussioni, al piano, alla chitarra, cioè rinunciando alla visibilità del leader? E, soprattutto, a proposito di giovani e di nuovo. Non è mai esistito alcuno che non abbia usato la parola nuovo se non per vendere qualcosa. Non facciamo le verginelle, è la politica, bellezza… Però, se questi cosiddetti giovani ci sono, si sputtanino invece di perpetuare le abitudini dei padri-padrini che si sono scelti e che, abilmente, blandiscono secondo le loro convenienze. In ogni caso, se il dna non cambia, e Colombina, il Capitano, gli Zanni devono necessariamente riprodursi, noi umili consumatori – audace ormai pare dirsi cittadini – chiediamo almeno che chi vuole calcare le assi del carro dei comici si sprema un po’ le meningi e ci proponga canovacci al passo coi tempi. E’ la legge della politica-showbiz, bellezze. E, chissà, dei partiti-tram sali e scendi. Dei decoder. Vogliamo metterlo giù sì o no un abbonamento coi fiocchi?

LINUS AGOSTO 2009

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