L’ASTIO DELLA CASTA
L’impressione è che dal 4 dicembre 2016 serpeggi il panico. Meglio ancora, che la greve e mal digerita batosta del referendum, invece di indurre a più miti e autocritici consigli gli sconfitti, «Giovane Favoloso» in primis, abbia definitivamente scatenato l’insana isteria che avvelena un certo establishment dal giorno dell’elezione di Virginia Raggi a sindaco di Roma.
Dissimulato in modo maldestro, questo livore e l’horror vacui che da un po’ di tempo inseminano artificialmente a loro insaputa molte delle menti più in vista del Paese, sono plasticamente rappresentati dal comportamento dei media per cui lavorano e dalla disparità di trattamento riservata a Raggi rispetto ad altri amministratori.
Se è o era infatti comprensibile – e persino auspicabile – che l’ingresso di una forza politica avulsa dal quadro di riferimento politico precedente nella cabina di regia della Capitale fosse accompagnata dall’accensione dei riflettori, non lo è altrettanto l’accanimento e ora la spudorata malafede (eccone un esempio) con cui molti attori e operatori del mainstream mediatico che si fa fatica a chiamare ancora “giornali” e “giornalisti” si dannano per far passare il disegnino dei Cinque Stelle brutti, sporchi e cattivi.
Eppure, il popolo, quell’entità indifferenziata che a qualcuno piace etero dirigere e, quando non funziona, randellare con cariche metaforiche e cariche vere, come a Genova (medaglia d’oro al valor militare per la Guerra di Liberazione, provocata dal convegno dell’ultradestra) o a Bologna, se n’è accorto e usa tutti i (residui) mezzi che ha a disposizione per manifestare il suo disgusto.
Al netto della varietà non sempre elegante di questa disperata ma ancora civile lagnanza, è proprio questa diffusa consapevolezza che genera il panico, anzi, l’astio che corruga le fronti di molti illustri esponenti di un sistema consolidato che reagisce scompostamente ormai, è evidente, solo in difesa dei propri privilegi, attraverso gli habitué degli studi televisivi.
Come un riflesso pavloviano, tradendo assoluta incapacità di analisi e controproposta, l’astio di costoro si scaglia contro il Movimento 5 Stelle, colpevole di guidare un rigurgito di disincantata consapevolezza che si radica proprio sulla stomachevole contraffazione della realtà confezionata da loro stessi.
Ma le speciali truppe d’assalto di questo establishment in preda a una crisi di nervi altro non sono che la punta di diamante di una casta di nervosi e impanicati opinion leader old style. Sparpagliati nello strategico settore che va dal giornalismo all’editoria, per decenni molti di loro hanno assistito impassibili – anzi, continuando spesso imperterriti a godere di privilegi acquisiti non sempre in modi cristallini anche quando giustificati da rispettabili curricola – all’erosione della loro autorevolezza e dei percorsi, dei criteri che in un altro secolo assegnavano a individui, gruppi o istituzioni una qualche forma di auctoritas.
Oggi che i loro ruoli e la morente “autorità” di cui erano investiti sono spazzati via dall’ultima influencer con profilo Instagram o da abili Youtuber – fenomeno, quello dell’equivalenza semiotica dentifricio-Papa-Yogurth-Mike Bongiorno, che ha avuto maestri celebrati – si stracciano le vesti, mordendosi le labbra nelle ospitate televisive, facendo appelli alla moderazione sul web, invocando filtri per la Rete e magari tribunali.
Ormai alle strette, non solo, come si dice in gergo giornalistico, “pestano merde”, confezionando bufale, ma si arroccano sulle difensive blaterando di analfabeti funzionali, webeti e populismi dalle tribune delle loro prestigiose rubrichette.
Ma se è vero che certa retorica sulla casta ci ha infognato in un gorgo di luoghi comuni sui politici – mentre occorrerebbe invece finalmente tornare a fare più politica e meno rutti, altro che rifondar partiti fomentando l’odio contro mostri costruiti ad arte, un film già visto – è anche vero che la stratificazione delle caste è più estesa di quanto si voglia ammettere, come dimostra il panico che raggrinza in video gli abbronzati ovali di onorevoli-scrittori, giornalisti-ex-onorevoli, onorevoli-ex-giornalisti, magistrati-in-aspettativa-ora-politici-che-poi-torneranno-a-fare-i-magistrati, tutti quasi mai di primo pelo.
In assenza di seri, verificati illeciti e misfatti da contestare, ma anche di serie e propositive politiche alternative, ad armare la loro pelosa retorica e i metaforici bazooka contro i populisti sembra essere la logica del “tengo famiglia” che dietro tanta boria nasconde l’incommensurabile orrore di perdere privilegi e di vedersi compromessa la possibilità di cadere sempre in piedi che li induce da decenni al compromesso, alla compravendita, alla camarilla.
C’è solo da augurarsi che i bersagli di tanto odio – gli haters, i cyberbulli spesso oggi si nascondono proprio fra coloro che stigmatizzano quei comportamenti – non caschino nel tranello, offrendo il fianco. Che osservino con preoccupata ma anche spietata consapevolezza l’emorragia di lettori dell’establishment mediatico, e tengano la guardia alta sulle iniziative di chi studia cacce alle streghe, bavagli e bavaglioli.
Perché una casta messa alle corde trema. A volte balbetta, a volte inveisce. Astiosa. Ma soprattutto, come si è visto, sbaglia.
Postilla d’obbligo: non sono (mai stato) iscritto a un partito. Il mio conto corrente, debiti vari e soverchi ritardi nel pagamento delle spese condominiali lo certificano. Questa condizione però non mi impedisce di avere di volta in volta un punto di vista politico sui fatti. E anche quando ne ho avuto la tentazione o mi è stato proposto di aggregarmi a formazioni politiche organizzate sono stato sconsigliato dal farlo da una tara atavica di ordine etico e funzionale che mi spinge, costi quello che costi, a preservare la mia libertà di indagare e rappresentare senza sconti il mondo in cui mi è dato di vivere coi libri, il teatro e tutte le altre attività che ruotano intorno alla scrittura e lettura e a cui ho voluto dedicare la mia vita. (gps)
Un pensiero su “L’ASTIO DELLA CASTA”