Kafka, i Guardiani della Legge e Fausto B.

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Kafka, i Guardiani della Legge e Fausto B.

di Massimo Sgorbani*

Nel racconto di KafkaDavanti alla legge” un uomo chiede di accedere alla legge, la cui porta è spalancata, ma un guardiano gli dice “adesso no”. Poi aggiunge: “Prova a entrare nonostante il mio divieto. Ma fai attenzione: io sono potente. E sono solo l’ultimo dei guardiani. All’ingresso di ogni sala stanno dei guardiani uno più potente dell’altro”. In una situazione simile si trovano le donne che hanno dichiarato di essere state molestate da Fausto Brizzi. Anche per loro si è evidenziata la difficoltà, se non l’impossibilità, di ricorrere alla legge. Secondo gli psicologi, infatti, le vittime di abusi quasi sempre non parlano per la vergogna e sono trattenute dallo sporgere denuncia da fattori ambientali, come il timore di ritorsioni, o dell’inefficacia di una semplice dichiarazione verbale. Inoltre una delle ragazze che ha parlato non sotto anonimato sostiene di aver denunciato Brizzi dopo pochi giorni dai fatti accaduti e di essere stata dissuasa dai carabinieri perché la sua testimonianza non era supportata da altre prove…

Chi ha in qualche modo difeso Fausto Brizzi, si è appellato al principio “nulla poena sine iudicio” con cui, nel diritto penale, si eliminava il ricorso alla giustizia sommaria (il linciaggio, per esempio) e si riconduceva ogni sentenza all’interno di un processo regolare. Giustissimo. Ma, in questo caso, la possibilità di quel regolare processo non sarebbe esistita senza la campagna (linciaggio?) mediatico che ha reso possibili dichiarazioni che, nei termini di legge, non avrebbero avuto valore e che comunque sarebbe stato “pericoloso” rilasciare. Anche qui, come in Kafka, c’è una porta spalancata, cioè l’esistenza di un diritto che però rischia di rimanere solo formale se fattori culturali e ambientali ne ostacolano il riconoscimento. La rimozione di quei fattori può, e forse deve, anche passare da movimenti di opinione e campagne di informazione che, come spesso accade, agiscono temporaneamente “fuori legge” nella convinzione che le norme vigenti non tutelino adeguatamente il diritto che sta alla loro base.

Del resto fuori dalla legge – o, se vogliamo, prima della legge – si collocano anche quanti, tra gli opinionisti e gli addetti ai lavori, minimizzano le pressioni psicologiche e ambientali e si richiamano a un primordiale “diritto del più forte” dove ci sono donne “cazzute” che sanno ribellarsi e denunciare per tempo, altre più deboli che non ci riescono. Le seconde è giusto che soccombano. Ancora più cazzute, poi, sono le donne che, stando allo psichiatra Raffaele Morelli, riescono a metabolizzare in silenzio l’esperienza vissuta e riconoscere la prostituta che c’è in ciascuna di loro.

Queste prese di posizione spostano il giudizio su un sostrato di comportamenti non valutabili giuridicamente, dove il soggetto privato non coincide con quello giuridico, e rimane, se non innocente, impunibile. Solo sul piano della cultura e dei “costumi” può avvenire una ricomposizione di questi soggetti senza la quale, per tornare a Kafka e a “Il processo”, per un Fausto B. colpevole continuerà a esserci un Fausto Brizzi che non si riconosce nell’imputazione e viene giustiziato incredulo pensando che “la vergogna debba sopravvivergli”.

 


*Massimo Sgorbani è un drammaturgo.

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