Io so chi vuole uccidere Roberto Saviano

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Pubblicato su Satisfiction (ottobre 2010)

Io so chi vuole uccidere lo “scrittore Roberto Saviano”. So nomi e cognomi. Come lui. Come tutti. Abbiamo le prove. Ma pur di goderci il tepore di una menzogna rassicurante preferiamo chiudere gli occhi. Non Roberto Saviano, ma “Saviano Roberto – scrittore” sarà, forse è già stato oggetto di un disegno criminoso perpetrato a suo danno dagli stessi soggetti che l’hanno creato. Editori, redattori, consiglieri, agenti, fiscalisti, avvocati e tutta l’estesa famiglia che partecipa interessata alla gestione della sua icona, del pubblico personaggio. Ecco i colpevoli. Insieme ai lettori, a quelli fra loro che, fruendo della sua storia, gli credono. Tutti coautori di una narrazione che ha per protagonista non Roberto Saviano ma “Saviano Roberto – scrittore”. Un racconto di massa in cui i più disattesi, esasperati bisogni che tormentano la coscienza collettiva (giustizia, ordine, emancipazione, uguaglianza, merito, verità ) trovano una magica, illusoria celebrazione nel culto di un Eroe che tale non è e non può essere anche se tutti fingono di crederlo. Il dogmatismo ricattatorio che blinda il caso-personaggio «Roberto Saviano – e scrittore» (sei con lui, con il libro, col film, a favore della sua trasmissione o sei un camorrista) impone quella menzogna in modo totalitario da sinistra e da destra secondo i precetti del culto della personalità . Non si tratta di una volgare questione di soldi, come affermano voci discordi accusate di invidia o collusione col crimine. Non si tratta nemmeno di quello che “Saviano Roberto – scrittore” fa e, appunto, scrive, dal momento che, per partecipare alla messinscena collettiva del “Saviano Roberto – scrittore”, che ha una potenza di fuoco mediatica paragonabile solo alla propaganda di regimi totalitari, non serve sapere cosa fa o scrive. Si tratta dei sentimenti che questa storia è in grado di scatenare. Della rabbia, degli ideali e dell’ansia di riscatto a cui offre il miraggio di trasformazioni miracolose. Non a caso, lo staff di storyteller, dei coautori della lacrimevole storia del “giovane scrittore” vittima del gesto puro e coraggioso di avere scritto della camorra, ha trovato la complicità pelosa e quasi ecumenica della politica e di buona parte dei giornalisti televisivi e della carta stampata che smaniano per dare credibilità, consistenza a una falsa catarsi in cui si lavano le coscienze di tutti, riducendo l’indignazione e l’impegno a sterili luoghi comuni. Mentre il cancro della criminalità pullula indisturbato finendo nel libro paga del film tratto dal libro senza che questo susciti alcuna domanda. Non Roberto Saviano ma “Saviano Roberto – scrittore”, il personaggio che ha scelto o gli è stato assegnato, è al centro di un’accorta manipolazione che sventra una volta per tutte la funzione purificatoria della tragedia (dell’arte, della letteratura) così com’era vissuta nell’antica Grecia per trasferirne rituali ed effetti sul piano psicomediatico. Tutti, col santino del Giusto nel taschino (oggi è un libro, una trasmissione tv, domani sarà un disco, una bibita, un paio di scarpe) potranno credersi esenti da ogni mafia e dirsi solidali con chi “non ha più una vita privata”. Poco importa se questa solidarietà posticcia, basata sull’emotività e la creazione del consenso intorno a slogan stereotipati, non avrà effetti reali nella vita concreta di Saviano. Credere di aiutarlo è più vero e significativo del farlo nell’unico modo efficace: indagando, scoprendo, denunciando i criminali che, oltre a tenere in ostaggio un territorio, lo avrebbero scelto come bersaglio. Non Roberto Saviano, ma “Saviano Roberto – scrittore”, cioè la sua immagine, soddisfa gli ingenui, ancestrali bisogni di risarcimento e di amore, di fratellanza, libertà e uguaglianza. Media e politici l’hanno capito. Di qui la smania di beatificazione che formatta le menti della nazione. Finché farà comodo, finché appalti truccati, Casale, la camorra non avranno saturato i gusti dell’audience e un’altra storia sostituirà quella di «Saviano Roberto – scrittore». In tutto questo, Roberto Saviano è rimasto blindato nella vertiginosa prigione costruitagli intorno da un successo più grande di lui. Il corto circuito che ha reso l’uomo ostaggio del suo personaggio racconta l’efficacia perversa di una storia che apparecchia le proprie menzogne travestite da dogmi con lo stesso disprezzo, la tracotanza di chi lascia intendere di volere combattere. Poco importa sapere se sia stata concepita strategicamente fin dall’inizio. Importa capire a chi, a cosa servono ora i sogni che vende. Per l’incolumità fisica di Saviano, lo capisce persino un bambino, non servono proclami generici ma denunce reali. E quella che stiamo facendo costituisce un modesto ma concreto contributo perché lo mette in guardia dalla recita – non si sa quanto imposta o subita – a cui finora ha aderito con serietà imbarazzante, il copione che gli scrivono addosso enfatizzando tratti che toccano corde di commozione profonde. Quelle che fanno del suo personaggio un testimonial di illusioni (davvero siamo disposti a credere alla favola che il crimine si vince scrivendo o leggendo un libro?), il portavoce senziente di visioni velleitarie (che l’emancipazione da una tradizione endemicamente mafiosa possa avvenire attraverso culti mediatici), una vittima sacrificale (in grado di suscitare la protezione uterina di tutte le mamme e le donne in età ancora fertile; ma questo dice quanto sia duro a morire il vittimismo che ancora aleggia sulla questione Meridionale e come gli autori di questa storia conoscano i meccanismi della narrazione e i suoi collaudati ingredienti). Tralasciando gli equivoci e gli effetti di distrazione di massa (la notizia di un probabile attentato viene data nel pieno dell’allarme economico e mobilita all’unisono stampa e reti televisive, subito spiazzate dal suo ridimensionamento): perché gli autori di questa storia intitolata “Saviano Roberto – scrittore” e lo stesso Roberto Saviano, che la recita senza distanza, senza ironia, si sforzano ossessivamente di ricordare che lui fa letteratura? Perché non esiste scienza o potere che non venga dalla letteratura e non ne invidi il primato conoscitivo sull’animo umano? No. Anche se tutti oggi vorrebbero dirsi scrittori e mai titolo fu più usurpato. Perché nella letteratura c’è l’Io, il suo passato, il presente e il futuro, come sanno i pionieri di tutte le scienze che sulle intuizioni letterarie hanno fondato le proprie scuole? No, non interessa agli autori di questa storia la letteratura come viaggio pericoloso e dannato che costringe a fare i conti con le verità più indicibili. Interessa piuttosto il suo mito, il suo svuotamento di senso e l’uso che ne possono fare nel racconto di «Saviano Roberto – scrittore». Per esempio: la promessa di gloria inscritta nella letteratura. Assiso là in alto l’Eroe è venerabile. Può dire quello che vuole, a immagine e somiglianza divina, affogando ogni voce contraria nel girone degli invidiosi. Per fortuna, la letteratura non coincide con l’editoria e ha cura dei suoi scrittori, soprattutto i più scomodi, quelli che l’epoca nasconde con giochi di prestigio. Purtroppo “Saviano Roberto – scrittore” è destinato ad essere vittima della trama che l’ha generato. Aderendo con diligenza, senza sdegno o stupore, alla favola dell’Eroe che scrivendo redime il mondo, si è fatto complice dei suoi stessi aguzzini. Offre loro i tratti da cui, abili sceneggiatori, traggono la liturgia della sua giovinezza (che, avvolgendolo in un alone di irresponsabilità e incoscienza, lo fa oggetto di venerazione e consenso senza l’ingombrante bagaglio di competenza e esperienza che ci si aspetta da un leader) e della sua santità (l’arcaico richiamo alla figura del cavaliere immacolato con accostamenti all’iconografia cristologica). Eppure nessuno, e men che meno le storie, oggi può dirsi più incorruttibile. Tutti, scrittori e lettori, dobbiamo urgentemente domandarci quali valga la pena di scrivere e leggere. A quali decidiamo di credere. Se questo “giovane” autore è uno scrittore, la storia in cui senza remore ha scelto di recitare è la sua trappola mortale. Il che conferma come il complesso di Edipo si sia rovesciato. Il Padre (il potere) soffoca il figlio. Fin dalla culla. Senza sapere chi era, che talento aveva. Solo estirpandoglielo. Col suo consenso.

Giampaolo Spinato

P.S.: Per chiarezza, e per scongiurare infondate dietrologie, segnalo che, al momento, non ho niente da vendere, non ho libri in uscita e la riflessione sopra riportata risale, con la sola aggiunta di un richiamo alla trasmissione tv, al novembre 2009, cioè ai giorni dell’allarme per il presunto attentato. La direzione di un importante quotidiano nazionale, pur ritenendola condivisibile, ha deciso di soprassedere alla pubblicazione per non esacerbare il conflitto con la diretta concorrenza. Alla luce delle recenti polemiche sulla nuova trasmissione condotta dalla coppia Fazio-Saviano, mi è sembrata di attualità (gps).

Pubblicato su Satisfiction (ottobre 2010)
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