Il Senso del Partito Democratico per le Deportazioni di Massa

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Il Senso del Partito Democratico per le Deportazioni di Massa

 

di Giampaolo Spinato

Il senso del Partito Democratico per le deportazioni di massa ha la sua apoteosi nella Cultura. Si comincia dalla manipolazione ad arte dell’informazione col reattore di una Fake News da far girare a manetta sui Social.

È bastato al Ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, mettere in discussione il dogma delle prime domenica gratuite nei musei (“Lascerò maggiore libertà ai direttori, se vogliono mettere una domenica gratuita non c’è niente di male, ma quando obbligo a farla non va bene“) per strizzare i duodeni delle truppe cammellate social al seguito delle ineffabili Anne Ascani o dei Marcucci, per citare solo due colti esempi cólti a stracciarsi le vesti per i povery che, infatti, non vedono l’ora di scambiare una domenica al Carrefour con quella al museo.

Si tratta per inciso dei colleghi di quello stesso partito che, a proposito di Cultura, hanno nottetempo avallato coi colleghi di Forza Italia un finanziamento iniquo al ben introdotto Luca Barbareschi durante le ultime vacanze di Natale, pugnalando alle spalle (sostiene lui) l’ex-ministro Dario Franceschini, che non ne sapeva niente, e approfittando del fatto che il Paese fosse occupato a tagliare panettoni.

Questa reattività barbarica, il cui unico scopo è la deportazione delle menti prima che possano accedere alle ragioni del contendere, ripropone il vieto, ossessivo schema psicopatico dei pro e dei contro senza nemmeno più prendersi la briga di informarsi e comprendere i motivi del contendere, seppelliti sotto le gragnuole paramilitari degli insulti tipici e ormai allappanti degli storyselling seriali.

Sulle “domeniche gratis” ai musei si era già espresso in termini tombali anni fa un esperto del calibro di Tomaso Montanari allorché illustrò la “rivoluzione” inesistente di Franceschini, spiegando con quale deleterio giro di cassa si finanziava la sua bella trovata, piagata dall’afasia obbligatoria della deportazione di massa senza che l’aggettivo “culturale” potesse riscattarla dalla natura auroralmente deleteria.

Altra, interessante analisi sfavorevole all’iniziativa si può trovare nell’equilibrata testimonianza del direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori, raccolta da Federico Giannini sulla rivista Finestre sull’Arte, dove si elencano senza toni da tregenda una serie di alternative più mirate e lungimiranti per perseguire gli stessi obiettivi di amplimento dell’accesso all’arte e alla cultura, scongiurando problematiche legate addirittura all’ordine pubblico.

Basterebbero questi pochi esempi per testimoniare la greve scarsità e l’imbarbarimento del dibattito pubblico su un tema, la Cultura, se non ci si fosse messo lo stesso ministro Franceschini che, per rincarare la dose, senza argomentazioni culturali ma infilando le coprimaniche ottocentesche da contabile, è salito sul predellino di Facebook a sbandierare numeri in difesa della sua creatura, ribadendo surrettiziamente l’unico concetto originale che ha ispirato la sua gestione del dicastero, quello di una cultura equivalente all’evento, indirizzo che, dietro la visione da commercialista, ha contraddistinto il suo mandato con quelle venature – mai sufficientemente rilevate dalla stampa amica – che tradivano la natura dell’antesignano MinCulPop, non a caso considerato fin dalla sua fondazione, nel 1922, l’Ufficio Stampa del Governo.

C’è solo da sperare che ai fuochi artificiali e fatui delle randellate social e dei dogmi si contrappongano al più presto nuovi, minimi sintagmi. Meno ragli. Più concrete discussioni.

 


About Giampaolo Spinato

(Milano, 1960) ha pubblicato Pony Express (Einaudi, 1995), Il cuore rovesciato (Mondadori, Premio Selezione Campiello 1999), Di qua e di là dal cielo (Mondadori, 2001), Amici e nemici (Fazi, 2004), La vita nuova (Baldini Castoldi Dalai, 2008). Scrittore, giornalista freelance e docente universitario, scrive per il teatro e ha fondato Bartleby – Pratiche della Scrittura e della Lettura.

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