FINE PENA MAI

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FINE PENA MAI

Il baco che deteriora il linguaggio dei nostri politici (e dei loro chierici) e che li rende incapaci di legiferare, dopo ogni giro emotivo di indignazione, sui diritti della persona

di Giampaolo Spinato

Con che faccia uno dei nostri, attuali politici si può presentare al suo elettorato dicendo “fra le tante cose che ho fatto per voi, oltre a combattere per darvi tutto quello che serve per vivere, ho votato una legge che aiuta a morire”? Prima che occuparsi della Res Publica e raccogliere il consenso necessario per farlo degenerassero in una sottobranca del marketing, gli impedimenti erano altri.

Ci sono voluti dei secoli, qualche ecatombe e innumerevoli battaglie per i diritti civili ma alla fine si era raggiunta la separazione fra Etica e Stato. Eppure ogni volta che un caso ripropone all’attenzione di tutti materie riconducibili ai diritti della persona e alle diverse coscienze cui siamo soggetti, da quelle individuali a quelle sociali, va in scena la solita, lugubre schermaglia.

L’agenda dei media, si sa, adora la corrida. Ma per imporla e cavalcarla nei tempi e nei modi che gli sono più congeniali – e dettati dalle analisi del sentimento commissionate per vendere – ha bisogno di alleati e la negligenza del legislatore in materie quali il “fine vita”, il testamento biologico, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia o (anche) le recenti, clamorose conseguenze dell’obiezione di coscienza è un partner perfetto. Dinamica che, di per sé, già descrive il livello di sudditanza raggiunto dalla politica nei confronti di altri poteri.

Ma, al netto dei condizionamenti elettoralistici che ancora oggi, con la diaspora dei democristiani nei mille rivoli trasversali alle forze parlamentari, il nostro Paese paga alla presenza del Vaticano nel suo territorio, imputare questi vulnus normativi all’ingerenza della gerarchia ecclesiastica sulle competenze dello Stato è ormai diventato un mero vezzo retorico.

La perseverante inanità e il balbettio della classe politica su questi argomenti hanno radici in terreni ben più paludosi e inquinati che certa retorica della sostenibilità farebbe bene a inserire fra le priorità di bonifica alla voce ecologia dei significati e dei sensi.

Il rutilante palcoscenico della politica, infatti, è il prodotto di un format non molto dissimile da Italia’s Got Talent, dove ruoli, funzioni e talenti sono modellati fino allo spasimo dall’ossessione del branding.

Se la promozione di un marchio politico si limitasse alla propaganda, alla comunicazione di istanze, progetti, valori e ideali non ci sarebbe niente di male. Ma anche l’attuale, grottesco dibattito sulle fake news e le bufale ha chiarito che comunicare, più che una risorsa, è diventato al contempo una (costosa) esigenza e una scusa perché l’assillo di una campagna elettorale permanente – e la spasmodica “bolla speculativa” dello StorySelling che la impregna – ha sostituito i contenuti e il lavoro politico che dovrebbe (o pretende di) veicolare.

Quando poi la smania di fare proseliti e convincere l’interlocutore sulla bontà del proprio prodotto politico va a scuola dal Mago Oronzo le distorsioni di aggravano. Ne sta dando una prova a dir poco penosa la forza politica accreditata fino a qualche mese fa del maggiore consenso, nonché di onorevole storia. Prendiamo il suo Capo, quel «Giovane Favoloso» dimissionario che va a riparare il suo imene politico nella Silicon Valley in cerca di una verginità ormai perduta, dopo avere fondato sul grimaldello della rottamazione – ovvero sul Niente – il proprio suggestivo potere di persuasione.

Sbattute le corna contro la volontà popolare in una partita su cui aveva giocato tutte le fiches a disposizione, nel perfetto stile dell’uomo di marketing nella variante irridente del giovialone, si affretta ora a fare il restyling della propria oratoria e dei suoi PowerPoint mescolando le carte. Ma, poiché la Vita standard di un Venditore di Pentole, come le vie per l’Inferno, è lastricata di maniacali intenzioni, torna a brandire per primo il coperchio da mettere sopra il passato, proprio come l’amico di Eataly nello spot Vodafone. Nei suoi stucchevoli numeri di prestidigitazione, dopo aver dileggiato l’avversario intimandogli di uscire dal blog, ci si incista lui stesso alla stregua di un foruncolo e col know-how molto scolastico del media manager d’accatto scrive post ripetendo la tautologica keyword “Futuro” per salire nel ranking con cui l’algoritmo di Google classifica l’ininterrotto fluire dell’Internet di cose e parole.

Matteo Renzi è solo un esempio. Il capostipite, il più ammirato e imitato fra i concorrenti di questa politica che gioca a Resident Evil e promette un horror survival di cittadinanza per tutti e lo va sbandierando con tronfia arroganza in quel talent che è l’unica memorabile invenzione-iattura con cui il Partito Democratico ha rinnovato l’offerta politica in questo scorcio di secolo, prima di sbriciolarsi e prendere definitiva coscienza di essere il primo partito fecondato artificialmente a sua insaputa.

Ora, immaginiamo questo competitor del Mago Forest (senza l’arguzia favorita dal gioco di squadra di una Gialappa’s) che racconta ai suoi potenziali consumatori – perché questo e non altro oggi è l’elettorato, il Popolo tanto evocato a sproposito – di avere accompagnato alla morte chi ne aveva bisogno.

Uno scenario da incubo per chi cerca scientificamente il consenso facendo leva sul gastrointestino del target. Ma se è vero che l’uso mirato di parole chiave aspira a persuadere è altrettanto assodato che la competenza linguistica del nostro politico non va oltre l’alfabetizzazione di massa in chiave SEO (Search Engine Optimization) che ben s’accoppia con l’analfabetismo politico ed etico fin qui pasturato.

Il linguaggio della politica, a qualsiasi sintassi obbedisca, non può fare a meno di un’idea sottostante, un pensiero, una visione. Del Paese, del mondo, di Stato. Ma questa classe politica ha subìto un prolasso di idee e visioni del mondo che non siano inginocchiate al potere di turno.

E i chierici che intorno a lei si arrabattano nella stessa volgare Paranza del Marketing non sono da meno. Limitandosi al servile opportunismo con cui affiancano gli opposti dogmatismi (come nel caso di Fabiano e di tutti quelli che emigrano per avere assistenza a scelte irreversibili, condivisibili o meno) esacerbano la confusione e l’emotività, photoshoppando la commozione in svenevoli post e scagliando invettive per chiamare a sé i riflettori. Come fa la ditta SRS (Saviano-Roberto-Scrittore), avanguardia di questo filone che, incapace di restituire la complessità di argomenti e domande, offrendo spunti di riflessione che disinneschino invece di amplificare la sterile polarizzazione ideologica, diventa il riflesso scadente della mancanza di elaborazione e avalla la natura confessionale sia di chi è pro che di chi è contro.

Ma, poi, pro o contro chi e che cosa?

Il bisturi del linguaggio e della ragione si eserciti sulla separazione dei campi. Sulla necessità che lo Stato si esenti dall’etica e si limiti a tutelare i diritti della persona e ciò non equivalga a “schierarsi pro o contro l’aborto o l’eutanasia” che già di per sé, linguisticamente, equivale a non avere capito di cosa si parla. Tanto più quando alla coscienza collettiva si presentano casi di questa portata. Si demistifichi il dogma e si sventri il precetto. No al “bisogna soffrire” ma anche al “non trovo un senso alla sofferenza”, con tutte le conseguenze aberranti che portano. È l’accanimento ideologico della contesa che va fatto saltare per dire qualcosa di sensato su quello terapeutico.

Questo è il coraggio da avere, lo sforzo da fare. Consegnarsi agli arresti domiciliari della ininterrotta compravendita di emozioni è una forma malata di socialgia canaglia. Questa è la pena. L’ergastolo a cui ci condanna la Paranza del marketing se non ci decidiamo al più presto a comprendere che raccontare è saper trasferire dei sensi, dei significati e non vendere pentole sulla pelle degli altri. L’alternativa? L’obitorio dello StorySelling. Un fine pena mai.


About Giampaolo Spinato

(Milano, 1960) ha pubblicato Pony Express (Einaudi, 1995), Il cuore rovesciato (Mondadori, Premio Selezione Campiello 1999), Di qua e di là dal cielo (Mondadori, 2001), Amici e nemici (Fazi, 2004), La vita nuova (Baldini Castoldi Dalai, 2008). Scrittore, giornalista freelance e docente universitario, scrive per il teatro e ha fondato Bartleby – Pratiche della Scrittura e della Lettura.

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