«Era una notte…» Come ti insegno a raccontare

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1.05.96
Avvenimenti
«Era una notte… Come ti insegno a raccontare – Serena Tinari

Duecentomila copie vendute in edicola da «Scrivere», un corso a dispense per insegnare a diventare scrittori. Quasi la consacrazione di massa di un tipo di iniziativa d’élite solo dieci anni fa. Dal 1984, dopo Raffaele Crovi, altri scrittori, da Pontiggia a Baricco a Cutrufelli, hanno creato scuole per insegnare i segreti della scrittura. Infine, riviste diversissime tra loro come «Donna moderna», «Famiglia Cristiana», «Moda», hanno lanciato concorsi di scrittura, mentre «Noidonne» ha aperto due pagine alle lettrici. In mezzo, le migliaia di persone cbe mandano per posta le proprie fatiche letterarie, sperando nella pubblicazione. Un viaggio tra editoria e scuole di scrittura creativa

In edicola dal mese di febbraio, prima uscita a lire millenovecento, con tanto di immancabile dépliant: «Ora tocca a Lei cogliere questa fortuna … », et voilà, un elegante orologio in omaggio a chi si abbona. Solo che stavolta si parla di scrittura creativa. «Scrivere» è un corso a dispense della Fabbri editori, nove volumi per ottanta fascicoli. E i primi due sono andati talmente bene che hanno dovuto ritardare l’uscita del terzo per ristamparne ancora, per un totale di duecentomila copie vendute solo nelle prime settimane. L’iniziativa gode di un comitato editoriale di tutto rispetto (Augias, Carpinelli, Maraini, Nascimbeni) e consiste in un percorso graduale di costruzione di un testo, con esercizi guidati ed esempi tratti da grandi scrittori: un po’ invito alla lettura, un po’ frammentazione estrema. Comunque una rivoluzione: la cultura che vende, per di più in edicola. Eppure la spesa per i “beni culturali” non arriva neanche al sette per cento del bilancio familiare medio (dati Istat ’95). E soprattutto un’indagine commissionata dall’Associazione italiana piccoli editori e condotta su un campione di trenta non-lettori tipo ha rivelato che leggere è considerato «attività da smidollati», «indice di solitudine e incapacità di comunicare», praticata e praticabile solo da pochi eletti. Possibile la convivenza fra il rifiuto della lettura e l’ambizione di diventare scrittori ?
Di certo una leva potente è quella del modello vincente: appassiona la parabola della scrittrice di successo, così Dacia Maraini non è solo colonna della letteratura nostrana ma anche personaggio pubblico, come Pippo Baudo o Mara Venier. Donna affascinante e carismatica non solo per chi la vede da vicino, ma per gli zapping maniaci della notte, per i lettori distratti o attenti di giornali, per il villaggio globale.
E ancora, chi non ha sognato anche solo per un attimo di avere il successo di Susanna Tamaro, che con Và dove ti porta il cuore ha venduto due milioni di copie in ventisette lingue (cinquecento milioni di lire a pagina, è stato calcolato)? Molti si sono esibiti in complicate acrobazie per spiegare questo clamoroso risultato. Al proposito Elsa Sormani, bibliotecaria e traduttrice di professione, sostiene che «quello che fa il successo di un libro è arrivare nel modo e al momento giusto; cinque anni prima o dopo fanno la differenza. Tamaro ha semplicemente toccato corde sensibili: quelle che parlano del desiderio di tornare al sentimento, al cuore appunto. Certo il romanzo è scritto con abilità, ma si attesta ad un livello medio, non critico, che va a colpire un’esigenza diffusa».
Nel frattempo fioriscono le iniziative letterarie o paraletterarie di massa. «Donna moderna», settimanale del gruppo Mondadori, già l’anno scorso in tandem con gli Oscar di famiglia ha lanciato il concorso “Scrivi il tuo romanzo di passione”: milletrecento le partecipanti. Tale il successo, che quest’anno hanno replicato con la poesia d’amore, stavolta aperta anche agli uomini.
Quarantamila testi arrivati in redazione e i cento vincitori pubblicati in un apposito Oscar.
Non è stata da meno «Famiglia Cristiana»: l’anno scorso ha lanciato “Scrivi un racconto sul rapporto madre-figlia” e vista la mole dei manoscritti che hanno partecipato (oltre il migliaio) quest’anno si replica, allargando però il campo: “Scrivi una cronaca familiare” sta andando già molto bene. Così come il mensile «Moda» da un anno ha lanciato “Trenta per sessanta”, una pagina aperta alla collaborazione di lettrici e lettori, e pure il mensile femminista «Noidonne» ha aperto due pagine alle comiche: racconti, gag, barzellette.
Ma se pure Guy Debord insegna che «lo spettacolo è la produzione principale della società attuale, è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine», ciò non basta per affermare a cuor leggero che la cultura vende solo quando lega a sé le persone in un rapporto consumistico o basato sulla voglia di protagonismo. Piuttosto, c’è da chiedersi se la corsa al “tutti scrittori” non contenga qualcosa in più del tentativo di emulare un modello di successo. E una risposta forse la si può trovare nel fiorire di corsi di scrittura, stavolta dal vivo.
Il primo a portare in Italia, nel 1984, una tradizione tipicamente statunitense è stato Raffaele Crovi, scrittore, attualmente direttore editoriale di Camunia.
A ruota l’ha seguito lo scrittore Giuseppe Pontiggia, che dal 1985 a Milano conduce e dirige corsi di scrittura creativa (tel. 02/6880038). L’edizione di quest’anno era articolata in tre laboratori: “Come scrivere” sulla prosa, mirato al miglioramento e all’arricchimento delle capacità espressive; “La sperimentazione sulla prosa”, di carattere eminentemente pratico e quindi destinato soprattutto a professionisti della comunicazione; “Come parlare”, che si svolge questo mese, per migliorare le capacità di espressione e di comunicazione. Ma ce n’è davvero per tutti i gusti. Alessandro Baricco, piazzatissimo nelle classifiche con il romanzo Seta, da due anni ha messo su a Torino la Scuola “Holden” (tel. 011/6632812). Un ambitissimo Master biennale, con obbligo di frequenza dell’ottanta per cento, e corsi di varia durata, da una settimana a sei mesi, anche estivi. Lo stile è quello del college americano: biblioteche, servizi, spettacoli, convenzioni di vario genere. E soprattutto prezzi non proprio per tutte le tasche: un anno di corso costa sette milioni e mezzo.
Piatto ricco anche i corsi per donne. “Le Melousine”, associazione culturale milanese, organizza ormai da otto anni seminari, gruppi di ricerca e laboratori (tel. 02/8372846). Punto nodale la trasmissione di saperi ed esperienze femminili, alla ricerca di relazioni etiche che favoriscano la creatività di ciascuna. Moltissimi i nomi in cattedra nel corso degli anni: da Grazia Livi, che tuttora tiene seminari molto seguiti sul racconto e sul romanzo, a Francesca Sanvitale, a Alda Merini, a Vivian Lamarque.
A Roma, Maria Rosa Cutrufelli dal 1993 organizza con la cooperativa editoriale “Firmato donna” laboratori di scrittura creativa (tel. 06/8605846). Quest’anno oltre alla narrativa ci sono corsi di editing, sceneggiatura, giornalismo, scrittura teatrale, una giornata di radiodramma con Sandra Petrignani, letture critiche con Sormani.
Ma cosa vuol dire andare a scuola di scrittura? Nessuno pretende di insegnare il talento, tutti suggeriscono piuttosto l’apprendimento di una disciplina interiore, spesso difficile da trovare nei ritmi schizofrenici del presente, e di una serie di accorgimenti e tecniche che aiutano – dice Cutrufelli – «ad affrontare la battaglia solitaria e silenziosa con la scrittura. Non considero questi incontri delle semplici lezioni per trasmettere tecniche. Si tenta piuttosto di aprire un solco in un terreno piuttosto difficile, soprattutto per le donne, perché la scrittura creativa coinvolge la funzione desiderante e quella immaginativa, ossia le più precluse alle donne – e forse è per questo che amiamo tanto narrare»
Giampaolo Spinato, che ha esordito l’anno scorso con il romanzo Pony Express (Einaudi), ha dato vita a Milano a “Bartleby”, un esperimento di pratiche della scrittura e della lettura. Davvero eterogeneo il pubblico, comuni le caratteristiche di fondo: bisogno di dominare l’espressione scritta e quindi parlata per lavorare nelle pubbliche relazioni, trasmettere conoscenze, ma soprattutto per ritrovare un ritmo che non sia il “mordi e fuggi” dell’informazione. «Credo che il bisogno diffuso cui rispondono i laboratori sia soprattutto quello di ritrovare una comunicazione che non sia fredda, di intrattenimento o di consumo, ma piuttosto un luogo residuo per l’espressione: una consapevolezza di linguaggio non tecnica, ma esistenziale», sostiene Spinato. Il dato forse più pesante è che lo “zoccolo duro” dei partecipanti è costituito da trentenni: «Un’età in cui non è ancora definita la collocazione sociale e lavorativa. D’altronde è molto grave anche il deficit nella formazione scolastica: molto spesso arrivati alle soglie del mondo del lavoro ci si rende conto di non avere mai acquisito gli strumenti di base ».
Altra storia la scollatura fra le aspettative di chi scrive e la realtà di un’editoria imperniata sulla vendibilità del prodotto. Anche per questo Spinato ha affiancato ai laboratori un servizio di consulenza inediti, realizzato in collaborazione con un’agenzia letteraria, che mira a fare da cerniera fra autori e editori. La figura dell’agente, che molte case editrici utilizzano ampiamente per la selezione di nuovi autori, è qualcosa di là da venire in Italia. Fatto sta che i manoscritti arrivano a migliaia a editori piccoli e grandi. Quasi tutte hanno costituito dei comitati editoriali per vagliare i testi alla ricerca del capolavoro, con quella che una editor ha chiamato “sindrome del Gattopardo”, la paura di farsi sfuggire un grande inedito. Alcune ne fanno un punto di forza, altre hanno rinunciato all’immersione in un mare di romanzi, pamphlet, saggi, spesso autobiografici e spesso non pubblicabili. Per lo più si affidano piuttosto a un raffinato passaparola, che per necessità privilegia circuiti amicali o comunque basati su relazioni personali: autori che ne seguono altri, da segnalare al momento giusto. Certo nella partecipazione a un laboratorio di scrittura corre parallela alla passione anche la speranza di uno sbocco lavorativo. Esplicito in quelli a sfondo pratico, che pur senza diplomi costruiscono una competenza, più sotterraneo in quelli puramente creativi. Anche se Spinato, ad esempio, non nasconde che il suo sogno sarebbe di dare vita a una vera factory, un luogo dove mettere in campo e sul mercato le acquisizioni di un percorso di crescita espressiva.
Ma forse, e soprattutto, il successo di un’iniziativa tipicamente élitaria, come quella di laboratori di scrittura in un Paese in cui la scuola dell’obbligo si ferma a quattordici anni, si è inserito in un fenomeno più generale. C’è chi va a nuoto o a yoga, chi colora il Mandala o chi si immerge nella Profezia di Celestino, forse il più incredibile caso letterario dello scorso anno, chi si spinge addirittura fino alla medicina cinese. Tanto che in uno spot della Pubblicità Progresso il protagonista è un uomo vestito elegantemente, la valigetta manageriale nella destra, l’occhio un po’ vacuo. Una voce fuori campo, decisa ma calda, gli chiede se nell’ultimo anno ha letto libri o giornali, se ha fatto qualche corso di aggiornamento, o magari un po’ di sport. L’omino in blu risponde sempre di no, sempre più avvilito. E pian piano sotto di lui si scava una fossa. La voce, implacabile: «Ma hai visto cosa stai facendo?», e l’uomo: «Da domani si cambia!». E’ lo spot, un po’ macabro e di certo implacabile, della Pubblicità Progresso per la giornata dell’automiglioramento. Sì, avete letto bene: auto miglioramento. Da quest’anno il 2 marzo tutti a fare autocoscienza, a chiedersi se si fa abbastanza per il proprio arricchimento. O ancora: opuscolo allegato a un settimanale di grande diffu-sione. In copertina un uomo dall’aria solida e serena mostra il pollice nel gesto del successo. Easy life è lo strillo, ed è anche il titolo del corso in vendita in edicola. All’interno si spiega: «In questo corso sono contenute tutte le informazioni che occorrono per imparare a padroneggiare l’arte della Comunicazione Interpersonale, senza dover necessariamente ricorrere a innumerevoli libri di approfondimento. Seguendoci riuscirete, gradualmente, a modificare i vostri comportamenti errati sostituendoli con altri più adeguati, migliorando giorno dopo giorno». Corsi e ricorsi, a schede, per corrispondenza, dal vivo. Alla ricerca di una dimensione di crescita. E le lettere, a quanto pare, non sfuggono al sistema.

I testi inediti spediti per posta
Nel cestino delle case editrici

Quanti testi inediti (dattiloscritti, su dischetto, scritti a mano) arrivano ogni anno alle case editrici? E quanti di questi, che viaggiano per il canale dell’anonimato postale, vengono pubblicati? Ecco i risultati di un campionamento tra alcune case editrici grandi e meno grandi. A quanto pare, per gli esordienti è quasi proibitiva la strada dell’approccio diretto.

EINAUDI Alla casa dello struzzo dicono candidamente che per un testo e per un autore senz’altro è vetrina di gran lunga migliore la pubblicazione su una rivista letteraria. Fatto sta che a loro arrivano circa milleseicento testi l’anno, di cui il novanta per cento viene eliminato quasi subito, mentre i superstiti vengono distribuiti ai cinque-sei collaboratori addetti alla lettura. Sono loro a fare le schede sugli aspiranti esordienti, che poi vengono discusse dal comitato editoriale. In media supera questa selezione un testo l’anno: l’ultimo di successo è stato Hot line di Francesca Mazzuccato.
SENSIBILI ALLE FOGLIE Arrivano circa cento testi l’anno, di cui finora pubblicati cinque. Molto bene Il cielo di Simona Ferraresi e Aldilà dei girasoli di Nunzia Coppedé.
CASTELVECCHI Circa duecento testi l’anno, pubblicati in media uno su duecento. Due successi di questa giovane casa editrice sono arrivati per posta: Fluo di Isabella Santacroce (che sta per pubblicare il suo secondo libro con Feltrinelli) e l’ormai mitico manuale del trash Andy Wharol era un coatto di Tommaso Labranca, giunto alla terza edizione.
THEORIA Arrivano circa ottocento testi l’anno, soprattutto romanzi, pochissimi pubblicati ma nessuno di grande successo.
FELTRINELLI Montagne di manoscritti, dicono alla segreteria di edizione. Un numero incalcolabile, e tanto ne sono sommersi che non ce la fanno proprio a leggerli tutti. Fatto sta che non ne hanno mai pubblicato nessuno.
GARZANTI La segretaria di edizione è laconica: nel 1995 sono arrivati in casa editrice settecentocinquanta testi. Pubblicati? Nessuno.
ADELPHI Quattrocento-cinquecento testi l’anno, pubblicato forse in media uno ogni quattrocento.
A. MONDADORI Cento-centoventi al mese, tra dattiloscritti e proposte di esame, soprattutto narrativa scritta da donne. Almeno il sessanta per cento si ferma a questa prima selezione, poi l’editor e alcuni consulenti esterni. Molto bassa la pubblicazione.
BALDINI & CASTOLDI Trecento al mese non costanti ma sicuramente in crescita, anche grazie all’effetto “Tamaro”. Su cento se ne approfondiscono quattro o cinque, pubblicati ancora meno.

Testimonianze. Una corsista
Dallo sfogo alla scrittura

«Volevo concedermi qualcosa di bello cui pensavo da tempo», è la prima cosa che viene in mente a Giovanna Massini, trentenne grafica romana, allieva di Maria Rosa Cutrufelli nel corso di narrativa della cooperativa Firmato Donna. « Sono partita senza altra velleità se non quella di cominciare a conoscere le tecniche, per mettere ordine in quello che avevo già scritto. E ho trovato molto di più. Sicuramente ha influito il fatto che fosse un corso dedicato a sole donne, per cui oltre al piacere di addentrarsi nella scrittura c’è stato anche quello di condividere emozioni abbastanza simili con le altre. Eravamo comunque un gruppo molto eterogeneo e le similitudini erano essenzialmente nel fatto di scrivere, e di voler scrivere ». Ma non è finita lì: « Dopo il corso abbiamo continuato a vederci per leggerci quello che scriviamo, per criticarlo, commentarlo, sezionarlo. Qualcosa che nessuna di noi si aspettava è che abbiamo riscoperto anche il piacere di formare un gruppo di donne, dopo che ognuna aveva avuto a suo tempo delusioni e si era presa le sue arrabbiature». La comune passione vi ha rese compatte, ma in cosa è cambiata la tua scrittura? «Sicuramente ora è più consapevole, è meno sfogo e più scrittura. C’è da dire che non avevo mai pensato che qualcuno potesse leggere quello che scrivevo, scoprirlo invece mi ha dato un occhio critico, più attento, e con un obiettivo mi ha aperto un percorso diverso. Tra l’altro, un corso del genere ti insegna anche a leggere meglio, con più attenzione ». L’esperienza è stata per loro così positiva che hanno replicato quest’anno, con un seminario intensivo avanzato, le stesse donne con la stessa docente: «E stavolta in primo piano c’eravamo noi ».

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