Diventare scrittori e sceneggiatori (intervista)

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12.6.02
La Stampa – Milano
Diventare scrittori e sceneggiatori (intervista) – Federica Paola Capecchi

L’INTERVISTA
«Fra gli allievi anche dirigenti casalinghe e aspiranti giornalisti»

Intervista a Giampaolo Spinato, scrittore finalista al Premio Campiello con «Il cuore rovesciato», edito da Mondadori e docente di scrittura presso Bartleby, Milano. Autore teatrale e giornalista professionista, è inoltre diplomato come assistente alla regia presso la Civica Scuola D’Arte Drammatica Paolo Grassi.

Perché gli ultimi due anni hanno coronato Milano città della scrittura creativa?
Non mi stupisce né il fenomeno né il fatto che succeda a Milano. Questa è una città che spesso ti estranea da te stesso e quindi è fisiologico il bisogno di tornare a sé. Qualcuno è mosso da ambizioni altri semplicemente dalla voglia di sentirsi più vivi. Sensazione che solo la parola ti può dare. Il linguaggio è la dimensione dell’invisibile della realtà, che grazie alla parola, possiamo tollerare, reinventare. La lingua è ciò che di più democratico esista, attraversa ogni status, supera ogni limite».

Servono davvero queste scuole di scrittura?
A me affascina studiarne il fenomeno. Ai miei laboratori, per esempio, vengono persone diversissime tra loro: dall’insegnante al giornalista, dal produttore al drammaturgo, ma anche amministratori delegati, ragionieri e semplici casalinghe.
Il consumismo non è solo comprare, ma è anche l’assoluta fatica che ognuno fa quotidianamente ad entrare in relazione con gli altri e con sé. Gli individui, oggi, oltre a qualche prezzo, vogliono qualche significato, il fenomeno delle scuole di scrittura creativa risponde a questo bisogno: elaborare e comprendere la realtà e crescere come persone e come sentimenti.

Perché proprio Milano concentra un numero elevato di scuole di scrittura (12 su 39), rispetto al resto d’ltalia?
A Milano vive il villaggio globale del «sempre in comunicazione con tutto e tutti», ma questo si trasforma in una mistificazione dove, in verità,si respira molta disinformazione. Leggere vuol dire comprendere. Il bisogno di ascolto è fondamentale, non solo in questa città.

Bartleby è la tua scuola di scrittura a Milano, ci racconti un po’di lei?
A me non piace usare il termine scuola e allievo. Bartleby, in omaggio allo «Scrivano» di Melville, è un modo di non dare nulla per scontato e di capire quello che stai facendo e quello che vuoi.
Durante i laboratori cerco di stimolare la ricerca, nelle proprie possibilità e nelle cose che incontriamo, dell’elemento nuovo che può indicarci un percorso diverso da quello fino ad ora seguito. Insisto su un aspetto formativo, dell’attenzione: saper scrivere viene prima di tutto dal saper leggere, comprendere dove sono i silenzi, le cose non dette, pause e rincorse. E lavoriamo molto sulle storie e sulla loro capacità trasformativa. Non la definisco una scuola ma un percorso di stimolazioni alla scrittura; fornisco strumenti, come un carpentiere insegna ad usare lima e seghetto, poi, ognuno, dovrà trovare in sé le motivazioni.

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