[Dicono di Bartleby] Chiara Irene Miglino

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Laboratorio di scrittura drammaturgica, Università Statale – Facoltà di Lettere e Filosofia (Scienze dei Beni Culturali e Scienze Umanistiche per la Comunicazione), Milano, ottobre-dicembre 2006

[Una sintesi personale del percorso]

Colui che intende avvicinarsi alla creazione di un testo di qualsiasi genere, drammaturgico o meno, deve innanzi tutto partire da sè. Deve liberarsi del pregiudizio innato e inculcato, deve vedere la realtà senza che la propria percezione del mondo influisca dando interpretazione di un dato avvenimento. L’autore deve veder semplicemente le cose come stanno, saper rispondere alle 6 domande principali del chi cosa come dove quando perchè; deve vedere i personaggi che agiscono sulla scena,sapere perchè si muovono in una data maniera, rendere visibile i loro sentimenti attraverso le loro azioni. L’emozione è invisibile ma ha un preciso significato, el’autore dovrà tradurla in modo da renderla visibile a tutti, affinchè possa essere raccontata e compresa. L’autore deve quindi innanzi tutto entrare in contatto con sè stesso,dare un posto e un valore alle proprie percezioni,guardandole con occhio critico e capendo il motivo per cui una dato avvenimento suscita una data risposta che darà luogo a una reazione necessariamente fisica. Il dolore causerà una fitta allo stomaco, l’imbarazzo metterà del rosso sulle guance e così via. E’necessario essere costantemente in contatto con la propria sfera emotiva, per poterla conoscere e poterla raccontare. L’autore deve legittimare le proprie sensazioni, dar loro un nome e una consistenza oggettiva; deve guardarle e domandarsi cosa sono come mai si manifestano, deve riconoscerle quando si intromettono nell’interpretazione di un fatto e separarle da questo. Quando si va ad esaminare un fatto va innanzi tutto identificata l’azione che si sta svolgendo, per poi parlare del sentimento suscitato e dell’interpretazione data.
E’ utile guardare al lavoro lasciato da chi ha saputo esprimere il sentimento,capire le dinamiche e comprendere i significati nascosti. Anche partendo da un testo già scritto non si arriva a produrre una mera copia, ma sviscerando i nodi del discorso si scoprono infiniti sentieri di significato cui attingere per creare un’opera nuova, che parte dalla tradizione del testo originale per trasgredirlo e vivificarlo, portando in scena il proprio sentire.
Nel creare una storia bisogna conoscere le dinamiche del cambiamento che si va a raccontare; bisogna conoscere i personaggi,conoscere i loro sentimenti e il loro carattere. Dall’incontro e lo scontro nascerà poi la storia,che a volte può portare a conclusioni diverse da quelle presupposte. E’ importante sapere che i personaggi che agiscono non sono necessariamente quelli che appaiono fisicamente in scena; ci sono da tener presenti le varie figure che influiscono sull’agire di chi parla, per esempio le persone menzionate nel dialogo, le persone che hanno contribuito a un dato avvenimento, e ancora le polarità che all’interno di uno stesso personaggio agiscono entrando in rapporto e spesso in conflitto. Scopriamo così che un monologo è un coro affollatissimo di caratteri diversi spesso diametralmente opposti, che in uno stesso dialogo ci sono quattro protagonisti che rispondo ad altrettanti antagonisti con molteplici significati che coesistono in una sola parola. Compito dell’autore è creare una storia che sia pregna di vita, di cambiamento; sarà in seguito il regista teatrale a sottolineare ciò che lui ha visto come significato primario nel testo tramite gli altri linguaggi dello spettacolo. Non esiste il bello come definizione accademica; il bello è incontrare il significato,ed è questo che l’autore deve imprimere nella sua storia perchè risulti coinvolgente, emozionante e credibile.

gennaio 2007

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