Dunque, nonostante tutte le intellettuali o pigre resistenze, si tornerà (si è ritornati) giorno dopo giorno, sempre, lì. Alla questione che un’indigesto prontuario scolastico, vagamente pirandelliano, pretende di seppellire sotto cumuli di polvere, dandola per acquisita, sviscerata, ormai archiviata. L’identità . E le maschere, vere presunte funzionali patetiche o dionisiache, che i tempi e i luoghi da lei abitati scelgono di far danzare intorno al suo proprio centro.
Le incisioni visibilmente inferte da questa danza dei sé molteplici si compenetrano, qualsiasi sia il grado di consapevolezza con cui sono vissute, con percorsi di ricongiungimento (o differenziazione, spargimento) singolari e unici dei sé coinvolti, mai riducibili, nemmeno per analogia o contiguità, a leggi, regole e dinamiche riproducibili su scala superiore all’unità (divisa o indivisa) dell’io considerato di volta in volta.
Non si tratta, qui, di esercitare un diritto d’opinione, di interpretare o giudicare (ancorché ci appaia, per abitudine, assai arduo rinunciare, o quanto meno contenere, questa attitudine reattiva della mente) qualità, indirizzi e sbocchi della profusione di mascheramenti esperiti quotidianamente. Non pare cioè sensato, in questo campo, brandire o equipaggiarsi di canoni etici per trarne (il più delle volte) meri pre o postgiudizi che hanno tutta l’aria (il più delle volte) di rassicurarci nelle opinioni risapute.
Piuttosto, se il paesaggio di queste danze quotidiane, dei movimenti impressi all’io dai suoi più intimi o distanti multipli, è un paesaggio mosso e diseguale di sfiatatoi, ferite, cicatrici, ernie, protuberanze, assenze, perdite, euforie, aritmie… Se è su questo sorprendente e imponderabile terreno che, in fondo, dissodando, ci inoltriamo, allora occorre predisporsi ad osservare le dinamiche innescate dalla collezione di simulazioni e mascheramenti via via esperiti.
Sottraendosi alla tentazione di trarne conclusioni a priori, occorrerà conoscere l’oggetto del quotidiano assedio subito/agito dal sé medesimo in questione. Per meglio smascherare e soppesare le conseguenze e gli esiti delle incisioni operate sul suo rivestimento vivo, servirà mettere a fuoco il corpo esposto a quell’assalto. I corpi, anzi, è meglio dire subito, per subito chiarire e accogliere l’ampio spettro delle implicazioni da prendere in considerazione.
Specifico bersaglio (utente anche, ma anche usurante ed usurabile tiro a segno) di questo gioco di mascheramenti si è detto essere il corpo, dunque, ovvero i corpi costituenti l’io indiviso proiettato nella danza della pluralità per forza di cose, per divertimento o assuefazione assecondata da scelte e comportamenti.
Corpi, già di per sé, all’origine, plurali – e forse dunque, già all’origine, votati alla moltiplicazione, all’alterità, la gemmazione che nel rispecchiamento permette all’io di ritrovarsi – corpi, si diceva, plurimi perché, alla fonte, rispetto al sé, costituiscono l’impronta che richiama, compenetrandole l’una nell’altra, le varie nature, le stratificazioni tipiche dell’essere vitale, cioè le sue qualità fisiche (organiche e funzionali) e quelle immateriali (animiche e spirituali).
E proprio la sottile pelle che contiene queste aree, queste zone di contiguità dell’io, disgiunte o compenetrate, è sottoposta a prova permanente dall’altalena delle maschere, siano esse scelte o anche subite. E’ a questo manto, e dunque ai vuoti e ai pieni da esso rivestiti, che la danza delle maschere impartisce blandi o macrocopici rivolgimenti, disponendo screziature e abrasioni o sfilacciamenti, se non addirittura tagli più profondi.
Di qui le metamorfosi che, insieme ai cambiamenti appariscenti, producono/procurano ai sé danzanti smagliature lacerazioni o cicatrici, di norma non visibili, cioè impalpabili (fino a emersioni più eclatanti, sorprendenti, nel manifestarsi delle malattie, solo raramente riconoscibili come somatizzazioni), e dunque assai sfuggenti, non rilevabili, non apprezzabili per mezzo di parametri tarati sulle qualità apparenti e misurabili dalle cui fascinazioni (dai soldi agli standard mutualistici degli esami clinici) ci piace essere irretiti.
Il corpo, i corpi, dunque. Nella complessa e compenetrante relazione di più insiemi, più configurazioni, fisica mentale immateriale organica rappresentativa proiettiva animico-spirituale. Questa l’identità univoca, collegata e rispecchiantesi nell’altro, ma mai indifferenziata. Riconoscibile e partecipabile. Entità -bersaglio, preciso oggetto del quotidiano assalto portato allo specifico vitale dell’io in questione.
E’ questo specifico, animato dall’orchestrazione di spazio pieno o cavo (destinato ad ostruire e accogliere aria, pneuma, soffio) platealmente e, forse, oggi, disperatamente differente dal vegetativo, da cui lo separa appunto la facoltà sua propria rappresentativa e il fiato animico che ne sostanzia tutti i sentimenti e le attitudini mentali. E’ questo il corpo accarezzato, blandito o mutilato dalla danza delle simulazioni. Questo l’oggetto rappreso espanso o, anche, reciso, dal travestimento coatto e ripetuto.
Ecco perché, anche a costo di sbagliare, procedendo per tentativi, prove, pronti a riorientare la visione, senza rinunciare, occorrerà vedere di cosa si sostanzia questo corpo. In che relazione stanno le sue parti, attraverso quali gangli e intercapedini si congiungono le sfere più propriamente materiali (percettive, fisiche) e quelle più squisitamente immateriali, che chiamiamo animiche, rappresentative e/o spirituali.
Occorrerà guardarli, questi corpi e gli effetti dei loro contorcersi/inarcarsi imposti dall’ansimante dimenticanza perpetrata dalla dispersione (prescritta o volontaria) e dalla deflagrazione estetizzante, ambita, costruita o artificiosamente patinata, venduta e sponsorizzata dalla nostra éra. Guardarli per conoscerli. Per ri-conoscerli, senza omertà e omissioni.
A partire dall’”anello gravitazionale” che organicamente ne congiunge le due sfere (visibile e invisibile): i sensi, intesi come le soglie conosciute e conoscibili della percezione fisica (nella sfera del materiale), ma anche, in quanto tali, come porte dell’elaborazione e della rappresentazione, dove si formano i significati (nella sfera animica).
Lì, dove, sottili, forse non visti, non sempre in modi plateali, si producono quei tagli, le incisioni, forse gli espropri, le affascinanti alienazioni che, soddisfando l’ingordigia del dio bambino può impedirgli, vellicandolo con gran frastuono e tanto riso (zuccheroso, per alterarne il gusto vero, amaro), il farsi uomo.
E R A » la dea « – #9