Comunione e Comunicazione

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“Che mondo sarebbe…?”

Apoteosi della pubblicità che per autopromuoversi si denigra. E ci riesce alla grande. Ma: “che comunicazione sarebbe…?”

(a proposito di una recente campagna pubblicitaria)

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Dunque: Che mondo sarebbe senza comunicazione? Alzi la mano chi non ha pensato: Bellissimo. Giornali con pagine bianche? Schermi televisivi ultrapiatti e ultrainutili? Telefoni senza suoni? Ma chi è l’impasticcato che li ha ideati. Fuori il nome. Candidatelo al Nobel. Anche se, fatti conti, non è roba sua. Sotto sotto, è il sogno di tutti. Non ha fatto altro che prendere e, senza vergogna, sputtandosi e sputtanando il sistema comunicazione, che dovrebbe promuovere, dare corpo, visione a un anelito, un desiderio spasmodico di autodifesa, di relax, di calma, di calore e sapore concreto del fluire reale delle cose e del tempo. Desiderio di ognuno.

Il mondo scontornato di bianco
Ma poi, non c’è niente da fare. Troppo patinato, pulito quel bianco-e-nero scicchissimo usato per raccontare l’eventuale mondo di morti in cui non esisterebbe la comunicazione. Tanto artefatto e leccato da riuscire, senza volerlo, a rendere davvero gradevole, quasi desiderabile, un mondo di tale felpata, sterilizzata atmosfera. Altro superbo, acrobatico affondo di senso, in una comunicazione che senso non ha (non quello che pretenderebbe di dare): questo mondo di morti viventi, di frigidi echi, di tonfi ovattati e sospiri, è il mondo a cui, sottraendo invisibile e senso alla “comunicazione”, pensandolo solo come sistema di segni e di codici, la comunicazione (ma ormai dovremmo abituarci a chiamarla col suo nome più autentico: la pubblicità ) aspira, in cui, illudendoci di comunicare, ci relega.

E’ appunto un mondo in cui, come dimostra bene il concetto chiave di questa campagna pubblicitaria, non può, non deve esistere lo spazio bianco. Anzi, non è possibile nemmeno pensarlo. Uno spazio di incognita, spiazzamento, di riempimento di senso non omologato. Uno spazio invisibile così pauroso che persino nel rappresentarlo c’è bisogno di cornici: il quadro della televisione, il profilo delle pagine di giornale, il polpastrello che scontorna la carta gioco (a proposito, ma quando ci si mettono prendono di mira proprio tutti tutti i target, compresi i giocatori di una iconografia anni Cinquanta, ma sarà una licenza poetica dedicata dagli autori a loro nonnni), la geometria rassicurante dei cartelloni stradali (e, ops, pubblicitari…)

I bambini miracolati
E dei bambini? Dei Pinocchi, le scimmiette “Non Vedo”, “Non Sento” e “Non Parlo” che l’improvviso, arcobalenico spalmarsi del colore trasforma finalmente in bimbi sorridenti e gioiosi, che dire? Ma come. Il Re(ato) è così esplicito. Il concetto è, finalmente, nudo. E’ tutto chiaro: Noi siamo, saremmo, dovremmo essere, i piccoli idioti felici che abitano il mondo ammannito dalla comunicazione, dalla pubblicità . I bimbi miracolati dalla festa dei codici, dei suoni e dei segni (non dei sensi) sono gli utenti ideali, decerebrati, estranei e sottratti a sè stessi, di un mondo finalmente tecnorubricato, avvolto in un coloratissmo e rassicurante alfabeto.

[Per inciso: euforia, “fuori di testa”, sbalconati, gaudentissimi utenti_clienti: anche di questo la comunicazione_pubblicità non saprà mai fare a meno: di dipingere uomini e donne drogati perché soddisfatti o soddisfatti perché drogati: viva la sincerità, ma poi non facciamo ipocriti piagnistei sulle follie che sentiamo ogni giorno: viva la verità della comunicazione_pubblicità e della sua anima pusher, della sua vocazione narcotrafficante: qualcuno lo chiama Libero Mercato].

Comunione o Comunicazione?
Così da una malformazione congenita, la pubblicità ricava, suo malgrado, la verità dell’enorme paura che strazia, rigenerandola, chi la governa e la monta (in tutti i sensi). Dall’edulcorazione del reale ricava la verità della propria infinita impotenza e fragilità . Ma poi, ascoltando meglio il suono insinuante, quasi melodico di quella domanda: Che mondo sarebbe senza…

Comunicazione? Il due di denari o di picche, una briscola in pratica, sarebbe la famosa comunicazione? La freccia per Piadena o il cartello del Charlie Motel sulla Paullese? E’ questa comunicazione? No, questa è segnaletica, arredo urbano, toponomastica dal vivo (per strada) o elettrodomestica (cucù, la tivù!). Ecco perché questa campagna, senza saperlo o volerlo, è davvero geniale. Perché dimostra cos’è la comunicazione o, meglio, la sua mistica universalmente condivisa.

E con surrettizio, ma potente rigurgito laico invoca, senza volerlo, l’alfa e l’omega, il principio ancestrale di coniugamento, di amplesso semantico, di scambio, la vita della comunicazione per quello che è, non per quello che la pubblicità vorrebbe che sia. Invoca la comunione, lo spazio concreto, spesso non detto, il vissuto, del contatto e delle trasformazioni che ininterrottamente, ascoltando e parlando (scrivendo e leggendo, agendo e aspettando…), ci cambiano e ci definiscono, assicurandoci, in questo caso, sì, che ci siamo: viviamo.

(01.10.03)

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