Come dare un’anima alla storia

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04.04.04
Città 2000
Come dare un’anima alla storia – Giusy Baioni

Chiacchierata con Giampaolo Spinato
Il suo libro sul caso Moro, un’occasione per rileggere gli eventi

“Mi interessa il senso di ciò che si è compiuto, le domande fondamentali che sono rimaste aperte”. Così ci dice Giampaolo Spinato, giornalista e autore di romanzi e testi teatrali. Le sue parole sono a commento dell’ultimo libro dato alle stampe, Amici e nemici, Fazi editore. Il caso Moro torna al centro di una riflessione, ma non si tratta più, o non solo, di ricostruire i fatti. Non è questo che gli preme. Il libro è un romanzo che mescola fatti reali (accuratamente documentati) a geniali invenzioni letterarie, scandagliando l’animo dei protagonisti e le scelte politiche nelle loro conseguenze sulle vite di un’intera nazione. “La mia è una ricerca letteraria, cominciata ben Prima della stesura di Amici e nemici – prosegue l’autore -; anzi, uno dei protagonisti, il terrorista rapito, era già in due miei libri precedenti. Perché se ne parla ora? Ci è voluto un necessario tempo di sedimentazione degli accadimenti.
E ora cominciano ad apparire testi e film che vanno oltre il bisogno documentaristico e storico, diventando lavori artistici. Io parlo di Moro per mitologia, per allusioni. Il Paese in fondo non ha ancora rielaborato il lutto, non l’ha ancora attraversato. E più di una generazione ne è rimasta indelebilmente segnata”.
Nel libro non ci sono nomi, Moro è chiamato semplicemente “il presidente”, l’unico riferimento esplicito è una data, il 16 marzo 1978, giorno del rapimento e della strage della scorta. Poi, alla storia ricostruita meticolosamente (l’autore ha ripercorso le tracce, rivisto i luoghi, cronometrato i tempi di percorrenza, spulciato negli archivi di Stato, intervistato i protagonisti) si intreccia un’altra storia, che non è solo finzione letteraria, ma chiave interpretativa: i rapimenti sono due, Moro da una parte, uno dei brigatisti dall’altra. Sì, perché Spinato si inventa il sequestro parallelo di un membro delle Brigate Rosse da parte di un estremista di destra. E’ una chiave simbolica:
“Il brigatista diviene ostaggio del potere che voleva combattere. Ne viene per l’appunto sequestrato. E ciò ha senso anche oggi. Quest’idea accomuna le scelte dei terrorismi interni ed internazionali: ogni gesto di rabbia e di frustrazione, nel momento in cui viene agito, si trasforma in una trappola per chi lo compie. Assassinio non è solo togliere la vita a qualcun altro, ma innanzitutto a se stessi”.
Vale per tutte le realtà, anche per quelle quotidiane. Spinato porta come esempio i ragazzi delle superiori con cui lavora dal ’95, proponendo laboratori di scrittura. Quest’anno è alle prese con una scuola professionale i cui studenti sono potenziali futuri disadattati. Colpa dell’ambiente difficile da cui arrivano, ma anche di un sistema scolastico incapace di farvi fronte. Ebbene: “Finché la rabbia muove una rappresentazione interiore, c’è uno spazio di elaborazione creativo, che permette di capirne le cause e agire sulla realtà, se possibile, o accettarla. Ma nel momento in cui questi ragazzi decidono di far esplodere la frustrazione, una parte interiore muore: è proprio quella parte che aveva generato la rabbia, e che tramite una rielaborazione avrebbe potuto diventare creativa e superare l’ostacolo”.
Così – passando dal quotidiano alla storia – avviene per ogni forma di violenza: l’azione uccide prima di tutto chi la compie. “Ciò riguarda il terrorismo, ma anche il modo stesso in cui viviamo. Ci stiamo assuefando all’idea che tutti i desideri e tutti i bisogni esistano solo per essere appagati. E quindi tutto si può comprare. Non si considera nemmeno che possano anche rimanere lì, sospesi, da scandagliare, comprendere, approfondire. Vanno consumati”.
Non è un caso che nel romanzo si intrecci un terzo piano, quello di due diciottenni (uno è parzialmente autobiografico) che si incontrano e si innamorano, sullo sfondo degli eventi: due ragazzi che vengono da percorsi e idealismi differenti, ma che amandosi li superano. La chiave di speranza della storia.
“Alla radice – prosegue lo scrittore – c’è un giudizio storico: ogni gesto e ideologia terroristica non fa che irrigidire le posizioni della controparte che si voleva abbattere. Nel caso Moro, lo Stato borghese che si voleva abolire si è consolidato nel partito della fermezza”.
Con questa sua opera, Giampaolo Spinato rivendica all’arte uno spazio che solitamente le è negato: “Oggi fa paura sapere che la letteratura possa andare oltre l’inchiesta giornalistica, anche dove la si vorrebbe imbavagliare”. Scrivere, per lui, è un po’ come ricomprendere, rileggere, scavare la realtà. Ma non solo: “Ci sono modi diversi di scrivere. Sto scoprendo che si può farlo senza cercare di affermare se stessi, ma dando voce a realtà diverse, urgenze, sogni. Il mio libro mostra i punti di vista diversi dei vari protagonisti. E dà voce a tutte le problematiche rimaste inespresse, a tutte le domande ancora inevase”. Non offre facili soluzioni. Ma porsi le domande, oggi, è quanto mai difficile. E necessario.

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LA SERATA IN VILLA GARGANTINI
E’ stato lo scrittore Carlo Oliva a introdurre la serata con Giampaolo Spinato, lo scorso martedì 30 in Villa Gargantini. Nei presentare il nuovo libro dell’amico, ha usato parole dense e pesanti: “Sciascia è il suo predecessore, è stato infatti l’unico a scrivere – subito dopo i fatti – un libro che andasse oltre la mera ricostruzione. Questo libro è importante perché l’Italia è uno strano Paese, incapace di trasformare la cronaca in storia, di dare giudizi definitivi su fatti accaduti oltre 25 anni fa. L’affaire Moro ha influito molto sugli eventi successivi, eppure è ancora oggetto del contendere. Non abbiamo una memoria storica. E questo libro aiuta a costruirla”, a restituire alla storia fatti che hanno indelebilmente segnato un’epoca e alcune generazioni di italiani.

GIAMPAOLO SPINATO nasce a Milano nel 1960. Giornalista professionista, dal 1985 ha collaborato, tra gli altri, con La Repubblica, L’Europeo, Linus, Cuore e Carnet. Ha pubblicato: Pony Express (Einaudi, 1995); Il cuore rovesciato (Mondadori, 1999); Di qua e di là dal cielo (Mondadori, 2001); Amici e nemici (Fazi, 2004). Per il teatro ha scritto Motoradiotaxi, Pane blu, Da lontano vi uccidono coll’onda, B. e Ico No Clast. E’ ideatore del Progetto Bartleby – Pratiche della scrittura e della lettura e dal 1995 conduce workshop e laboratori con interventi anche nelle scuole. Ha introdotto il Master di scrittura teatrale con Dacia Maraini e ha condotto il IV e il V Master di scrittura teatrale. Nel 1996 Pony Express è candidato, in finale, al Premio Bergamo; nel 1999 Il cuore rovesciato ottiene il Premio Selezione Campiello ed è candidato, in finale, al Premio Alassio “Un autore per l’Europa”; nel 2001 B. è candidato, in finale, al Premio Riccione per il Teatro, e riceve la segnalazione della giuria.

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