di Kia Mura
[questo testo è stato letto da Matilde Facheris e Silvia Gallerano al Teatro Out Off il 15 marzo 2004, nel corso della Serata Bartleby di Città in Condominio, seconda edizione]
Infilo il vestito color antracite – più che vestito è un pezzetto di stoffa che sta in un pugno chiuso – e corro sulla porta.
Voglio che si giri subito.
“ti piaccio così?”
L’ho quasi spaventata. E’ in corridoio, in sottoveste, davanti allo specchio, si già truccata e ha un orecchino di brillantini in mano.
“uè! esagerata! sei tutta nuda! va bè che viene quello del terzo piano a cena, ma tanto con lui non hai speranze! te l’ho detto che è una checca!”
Con la solita flemma aggancia la patacca luccicosa all’orecchio.
“però stai bene. Anche io alla tua età ero magra come te.”
“sei ancora bella.”
“sono vecchia.”
“ma sei ancora una bella gnocca.”
Le scappa un sorrisetto.
Vivo con lei da quasi un mese.
Sessantaquattro anni portati in maniera gagliarda.
Ama ancora mise e accessori da giovincella: abiti di seta con spacchetti e rifiniture in pizzo Sangallo, calze color carne per gambe da mordere, guanti da gatta di vellutino,
collane con perline, fermacapelli a forma di stella e fiore, ombretti madreperlati, rossetti rubino.
“e io cosa mi metto stasera? Dai consigliami, tanto ho capito che io e te abbiamo gli stessi gusti!”
“lo sai cosa facevo io alla tua età? mettevo le camicette trasparenti senza sotto niente! a quei tempi era scandaloso ma io me ne fregavo! avevo un bel seno!”
“chissà gli uomini!”
“eeeh sì! c’era un mio collega poi… non te l’ho detto? – c’è stato un periodo che quando ci incontravamo mi portava sempre un fiore! mica come adesso! secondo te quelli di oggi sono uomini?”
Lo guarda. Lo afferra con delicatezza.
“Questo reggiseno con la tetta imbottita è perfetto! Vero che non si nota?”
“non si vede proprio niente!” le faccio
“certo che a dire la verità preferirei avere ancora il mio seno! tienitelo da conto tu!”
A quest’ ora il sole sembra un tuorlo d’uovo, batte sulla terrazza, ci scalda le spalle. Lei appoggia la guancia ai battenti della porta finestra malinconica.
“ho voglia di guidare” mi dice “lontano… fino alla Svizzera.”
“dai Anna fammi sentire la canzone che ieri Gualtiero ti ha dedicato a Radio Svizzera!”
Va in cucina, schiaccia il tasto play del piccolo registratore sul frigo… “non arrossiiireee quando ti guaaardooo…”
“quando Gaber la cantava avevo la tua età.”
Canticchia, muove i fianchi, fa una piroetta. La balenottera danzante ora allarga le braccia e muove le mani come i direttori d’orchestra, e io immagino… il seno sodo, i balli, i fiori, i baciamano.
Un soffio d’aria attraversa la terrazza. Sento il fruscio delle foglie, guardo le piante e inspiro.
Poi due tonfi sordi in sequenza, uno di rotule di bambini che cadono e si sbucciano le ginocchia, l’altro come del cranio di un ubriaco che ho visto cadere in un locale.
Mi giro. Ho i brividi al cervelletto. Anna è a terra.
Respira… non mi sente. Ansimo… che faccio…
chi chiamo… il Martinelli! quello al secondo piano agli arresti domiciliari… si! …No! non la lascio sola… il Niguarda!! il numero è vicino al telefono! Li chiamo.
Non devo muoverla. La copro col piumino del divano. Mi inginocchio, le accarezzo il braccio carnoso e molle, le guance cadenti. Sento una sirena lontana. L’ambulanza è in fondo a Viale Brianza.