di Barbara D’Incecco
[un altro esempio di scrittura elaborata utilizzando la Rappresentazione Ricettiva e Creativa; pensata, cercata e trovata nell’inverno del 2003, nel corso di uno dei primi laboratori in cui si è utilizzata la Rrc, questa elaborazione è il risultato in fieri di un lavoro cominciato a partire da questo materiale; da una traccia aurorale, o prima versione, è scaturito dunque il testo qui di seguito presentato, proposto poi insieme agli altri scelti per la serata Serata Bartleby di Città in Condominio, e letto da Maddalena Balsamo, Egidia Bruno, Jenny De Cesarei, Francesca Perilli, Claudio Raimondo, Tommaso Urselli e Elisa Zanolla, a Milano, al Teatro Out Off, il 22 marzo 2004 – gps]
Nòdan guardò Erocu e sorrise.
Nòdan: “Ti credo. Ora so che tutto ciò che mi hai detto, è vero.”
A Satét non è mai buio. La capitale di Antinnorédon, il Regno degli Inutili, risplende della Luce Eterna di Geriona, il Primo Plagiario. La Luce Eterna irradia ogni cosa e di ogni cosa rimanda il Timbro Energetico alla fonte. Il Primo Plagiario è depositario dell’Ordine Prestabilito. La volontà degli Inutili viaggia sull’onda monocorde dell’obbedienza assoluta. Impossibile derogarvi: Geriona conosce tutto nell’attimo stesso della sua predeterminazione e la Luce Eterna di cui si sostanzia, rileva ogni anomalia dell’onda. Solo l’amore per l’Ordine Prestabilito è soggetto all’incostanza di Asinépos, il Terzo Plagiario. A lui il compito di governare l’Emozione Unica di Aderenza all’Ordine. Si tratta di un percorso predefinito che porta alla totale identificazione con l’Ordine. L’unica incostanza prevista è il crescendo emozionale di identificazione. Laddove ciò non accada o subisca un rallentamento interviene Sucrane, il Secondo Plagiario, colui che risolve gli Asincroni con la Suprema Decadenza. Sotto l’influenza di Geriona, gli Inutili conducono una vita tranquilla e ordinata. La città è rigorosamente suddivisa tra le due specie, gli Inutili Primari, quelli con alternanza cromosomica, occupano la zona a est della Corrente di Amoér, gli Inutili Secondari, quella a ovest.
Ogni contatto tra le due specie è vietato, pena la Suprema Decadenza.
I Tre Plagiari, in seduta straordinaria, discutono sulla situazione: due Inutili, un Primario e un Secondario, si sono incontrati. Pare fossero Collimanti. I Tre Plagiari hanno poco tempo. Se la notizia trapela altri Inutili potrebbero osare. Bisogna cancellare ogni traccia, bisogna trovarli e decaderli.
Geriona: “Sarà dunque l’insolenza di due incoscienti la rovina di Satét? O forse la svogliatezza dei miei Plagiari? Comincio a trovare sciocco elargire i miei privilegi, se non sapete adempiere alle vostre funzioni. Non vi si chiede nulla, tranne che compiere la vostra stessa natura. Volgetemi gli sguardi e rispondete. Come è potuto accadere?”
Asinépos: “Cosa possono fare questi Plagiari, se non tacere miseramente? (E fra sé) Lungi da me rivelarti l’arcano. E anche solo pensarvi. I soli indizi che troverai nel mio silenzio sono quelli di una penitente contrizione, maschera ipocrita alla mia tanto recente quanto opportuna perdita di memoria.”
Geriona: “E tu Sucrane, tu che sei freccia e arciere a baluardo dell’Ordine, cosa opponi?”
Sucrane: “Nulla.”
Geriona: “Nulla?”
Sucrane: “Nulla.”
Geriona: “Rifletti sulla stoltezza della tua lingua, perché assai amaro potrebbe esserne il frutto. Non ritieni la circostanza degna di una scusante?”
Sucrane: “Nessuna scusante Signore, e nessuna menzogna.”
Geriona: “Solo questo… Solo questo, Secondo Plagiario? Così noncuranti dunque, sono le mani in cui ho riposto l’avvenire di Satét? Trovate i ribelli e decadeteli o sarete giudicati alla stregua di qualsiasi traditore.”
Sucrane abbandona la Camera del Consiglio. Ultimamente accadono strane cose. Cose che neppure Geriona deve sapere. Da diversi giorni il Secondo Plagiario è concentrato nello sforzo costante di schermare i propri pensieri alla Luce Eterna. E’ una facoltà di cui solo i Plagiari dispongono, ma utilizzarla può mettere a repentaglio l’Ordine. E a Sucrane è già successo. Tanti anni prima.
Nòdan ed Erocu sono nascosti nel ventre della grande querbab che domina il giardino plagiariale.
Erocu: “Seguiremo la Corrente di Amoér che ci condurrà all’Istmo di Oge e di lì fuori dai confini di Antinnorédon, fino al Regno di Ullan.”
Nòdan: “Conosci quelle terre?”
Erocu: “Nessuno le conosce. E’ stata Arpàc a parlarmene. La vecchia Balia ha letto le Sacre Leggende prima che Geriona ordinasse di bruciarle e di decadere chiunque ne fosse a conoscenza.”
Nòdan: ” E cos’altro sai?”
Erocu: ” Mi ha raccontato di una stirpe di barbari, i Moniui, vissuti nella razzia e nell’assassinio fino a quando la stessa terra che avevano depredato e mutilato, non li aveva inghiottiti sputandone i resti contro il cielo.”
Nòdan: “E poi?”
Erocu: “Tocca a noi scoprirlo.”
Nòdan guarda Erocu diffidente. La sua voce è profonda e cupa. Le sue mani, non troppo grandi, sono possenti.
Erocu: “A cosa pensi?”
Nòdan: “A nulla. Forse è meglio che io resti qui.”
Erocu: ” Non puoi, ti troveranno.”
Nòdan: “Non mi interessa, non riesco a muovermi.”
Erocu: “Si che ci riesci.”
Nòdan: “No che non ci riesco e più di tutto, non voglio.”
Erocu: “Nòdan, ascoltami…”
Nòdan: “E perché? Chi sei tu? Perché dovrei seguirti?”
Erocu: “Cos’hai da perdere?”
Nòdan: “Tutto. La Luce di Geriona riscalda e illumina il mio cammino. Forse, se resto immobile, nessuno si accorgerà di me.”
Erocu: “Non puoi farlo ora che sai.”
Nòdan: “Potrei dimenticare.”
Nòdan rannicchia le ginocchia al petto.
Erocu: “Dammi la mano, ti porterò io.”
Nòdan fra sè: “Cosa ho io da perdere? Se resto qui, Geriona mi troverà. Inutile illudersi di sfuggirgli. E meglio scappargli lontano ora che sa che io so.”
Nòdan prende la mano di Erocu e la stringe. Di fronte a loro, i toni sgargianti del giardino plagiariale sono tutto ciò che li divide dalle acque sicure di Amoér. Solo un giardino, un giardino esposto alla violenza invasiva della Luce di Geriona. La Luce che tutto vede e tutto riferisce a Geriona.
Erocu: “Dobbiamo correre ora Nòdan. Dobbiamo correre fino alla Corrente. Non fermarti, non guardarti indietro, corri soltanto.”
Geriona e Asinépos sono rimasti soli. Geriona è visibilmente seccato per quanto successo. Inoltre, il Primo Plagiario ha percepito delle lievi dissonanze nella voce di Sucrane e i suoi sensi si sono allertati. Geriona appartiene alla Stirpe dei Visionari e nelle sue viscere scorre il Sacro Fuoco della Luce Eterna, dono di onniscienza per l’Eletto e di condanna alla suprema decadenza per il sangue del suo sangue. Le Grandi Visionarie Partorienti sono una stirpe nella stirpe. Educate al più rigoroso silenzio, sono le sole ad allevare i nascituri nel loro grembo. Lo fanno al buio delle Torri di Tavi, lontano dallo sguardo impuro degli Inutili. Al momento della Sacra Impollinazione, tredici piccoli Germogli Plagiariali attecchiscono alla Sacca Vitale. Solo uno sarà l’Eletto. Egli si ciberà della stessa sostanza dei suoi fratelli e dilanierà le carni della Grande Visionaria per trovare la via che lo conduce alla Luce. Solo allora è possibile ascoltare la voce della Grande Visionaria e il suo lamento è così straziante da sembrare maledire il destino per cui ha vissuto.
Asinépos: “Cosa ti turba, potente Geriona?”
Geriona: “I due Inutili si accoppieranno.”
Asinépos fra sé: “Non è possibile… li ho scelti io stesso fra i Discordanti… non può essere.”
Geriona: “Hai tre giorni per trovarli:”
Una sola cosa è imperscrutabile a Geriona il Visionario: l’aritmia distonica della vita nella vita. E’ per questo motivo che agli Inutili è vietato qualsiasi contatto e la continuazione della specie avviene nelle capsule diamantine dei Laboratori Tavi. Nòdan ed Erocu sono fantasmi per Geriona. Fantasmi di ciò che non può e non deve essere.
Al buio dei Laboratori Tavi, il Secondo Plagiario aspetta inquieto l’arrivo di Arpàc. La vecchia brontolona è viscida come un anguente, ma non metterebbe mai in pericolo la vita di un suo protetto. Il Secondo Plagiario ne è quasi convinto, ma preferisce esserne sicuro. Una volta per sempre.
Sucrane si muove felpato fra le capsule incubanti. Il rumore cadenzato del rullo erogatore lo riporta indietro, al tempo della veglia, quando, incurante del pericolo, aveva trascorso molte notti nella penombra dei Laboratori Tavi. E aveva alterato le dinamiche imprimenti del rullo erogatore.
Il rullo erogatore è una sorta di cordone ombelicale, diretta emanazione della Luce Eterna di Geriona e sommo dispensatore delle sue qualità energetiche. A Satét nulla è lasciato al caso e ogni Inutile è frutto delle tre qualità primarie. Nel caldo alabastrino delle capsule incubanti, ogni piccolo viene rifornito della quota di linfa necessaria al suo profilo di sviluppo. A Satét non c’è spazio per le aspirazioni, né per il talento: ognuno è ciò di cui si sostenta e così per sempre. Ma diciassette anni prima, un moto anomalo del rullo ha dispensato qualità in abbondanza. E un neonato se n’é saziato avidamente.
Improvvisamente, la porta d’ingresso ai Laboratori Tavi si apre e un sibilo costante irrompe nella stanza. Sucrane si accovaccia prontamente all’ombra del rullo mentre una figura grassoccia balzella verso di lui. E’ Arpàc, la Prima Balia, che si ferma e annusa l’aria. In un lampo, Sucrane le è alle spalle, le dita alla gola.
Sucrane: “E’ passato molto tempo.”
Arpàc, roca per lo spavento: “Ti aspettavo.”
Sucrane: “Da quando agli Inutili è concesso il dono della veggenza?”
Arpàc: “Da quando qualcuno che conosciamo entrambi, si è occultato alla Luce…”
Sucrane: “Non è salutare Arpàc accomunare un Plagiario a un Inutile…”
Arpàc: “Molto più che semplici parole ci accomunano Plagiario. E questo nonostante la Luce, le Regole e il tuo volere.”
Sucrane: “Non sbagli e la cosa diventa pericolosa.”
Arpàc: “Non così pericolosa da decadere la sola speranza di ritrovare ciò che il Plagiario ha perduto. La sola speranza, bada bene Plagiario, sono molto più di un Inutile. Io sono la Prima Balia, colei che cura la sopravvivenza.”
La mano del Secondo Plagiario si eleva minacciosa. Una manciata di secondi. Appena una manciata di secondi per cancellare ogni traccia. Sucrane appartiene alla stirpe dei Terminatori, supremi custodi dell’Ordine. La sua razza non conosce il compromesso, né la scelta e ogni 77 decadi si immola per far vivere l’Uno. Nell’oscurità dell’Antro di Etrom, una fila composta di uomini, donne e bambini si immerge e scompare tra le lingue infuocate di Ferinno, il fiume di lava. Con questo supremo atto di devozione, tutta l’energia dei Terminatori confluisce nell’Uno, il Secondo Plagiario, recandogli in dono il potere assoluto della Decadenza Finale. A Satét tutto ciò che non é Ordine, deve essere distrutto. Per sempre. L’Ordine Prestabilito non può rischiare che onde energetiche dissonanti, focolaio di menzogna e tradimento, entrino in circolo. E’ per preservare questo che al Secondo Plagiario spetta la Decadenza Finale. Egli è Boia impietoso. Dopo il suo intervento, niente più resta, neppure la memoria. Ecco perché Arpàc ha per la prima volta paura. Se quella mano si posa sulla sua testa, la Prima Balia scomparirà per sempre. Fisicamente ed energeticamente. Nella vita reale e nella memoria.
Sucrane, ritirando la mano: “Attenta Arpàc, la via della salvezza si destreggia lentamente fra silenziosi equilibri, quella della fine scorre veloce sotto le mie dita. Non dimenticarlo.”
Arpàc: “Non dubito che mi verrà ricordato di sovente.”
Così vanno le cose
[questo è il testo presentato da Barbara D’Incecco all’inizio di un laboratorio che si è tenuto nell’inverno 2003 e che, nel corso del lavoro con la Rappresentazione Ricettiva e Creativa, è diventato Antinnorèdon – gps]
Senza chiedere a nessuno se quello era il posto giusto dove cercarla.
A Lei passò la voglia del sugo e di mangiare.
Educatamente declinò l’invito.
Lei “Non si dia troppa noia, possiamo arrangiarci con quello che c’é.”
La Signora “E che ci vuole a fare un sugo? Nessuna noia, al massimo ve lo trovate pronto per domani.”
Sugo e padella finirono in frigo. Per molti e molti giorni dopo. E di lì direttamente in spazzatura. Il sugo per lo meno. La padella venne lavata, asciugata e accuratamente cambiata di posto.
Nel frattempo si sedettero intorno alla tavola e mangiarono. Tutti insieme. Lui, Lei, La Signora e il Fratello.
Lei parlava con Lui. Guardava negli occhi solo Lui e non mangiava. Lui stava ad ascoltarla e qualche volta posava gli occhi sulLa Signora. Il Fratello mangiava, gli occhi fissi nel piatto. E La Signora ascoltava, cercando timidamente d’intervenire di tanto in tanto.
Lei “Sai, mi hanno dato una promozione. Sono diventata caporedattore centrale, il che significa maggiori responsabilità, meno tempo per me, ma anche più libertà di testa e, sicuramente un sacco di soldi in più. E dimostra che hanno fiducia nelle mie capacità . Non solo come giornalista, ma anche come capo, come coordinatrice. Pensa che ho addirittura scalzato il protetto del vicedirettore. Se fosse stato nominato lui, penso che al giornale ci sarebbe stata una sommossa. Tutti i colleghi erano dalla mia parte.”
Lui “Ma che brava”, e occhieggiando La Signora, “Hai visto che brava?”
La Signora “E si, ed è un mondo difficile. Soprattutto per una donn” Lei, guardando Lui “Pensa che proprio il giorno prima, il vicedirettore mi ha chiamata nel suo ufficio per prepararmi in qualche modo alla sconfitta. Ha cominciato con un giro di parole assurdo per arrivare alla conclusione che per tenere testa a una redazione ci vuole il polso fermo di un uomo. Mi sono limitata ad ascoltare e intanto pensavo – Tu provaci, provaci soltanto e vedrai che casino ti pianto. – Non gliel’ho detto, ma deve averlo capito lo stesso perché subito dopo ha iniziato a tessere le mie lodi, peggio di come fa col direttore, un vero idiota.”
Lui “Cosa te ne importa? I leccaculo hanno vita breve. Quando incontro qualcuno che mi incensa troppo, per prima cosa, non mi fido.”
La Signora “E fai bene. Quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima, lo dice sempre anche mia madr” Lei, guardando sempre e solo Lui “E poi, il giorno dopo, il comitato direttivo mi sfila davanti in pompa magna, per ultimo il direttore che si gira e mi fa l’occhiolino. – E’ fatta – ho pensato.”
Lui ” Queste si, che sono soddisfazioni: le persone per cui lavori credono in te e ti danno ciò che ti spetta, i colleghi ti stimano, bel colpo, brava.”
Lei continuava a guardarlo e si cullava al suono di quelle dolci parole. Piene di orgoglio. Per Lei.
Finito di mangiare, Lei si alzò per mettere in ordine la cucina e delimitare il territorio. Dopotutto, era ancora Lei , la padrona di casa.
Lui e La Signora andarono in soggiorno, mentre Il Fratello, rassicurato dallo stato di guerra fredda non violento, ripiegò nella camera da letto.
Il pomeriggio passò senza grossi scossoni. Lei di tanto in tanto si affacciava in soggiorno. Con scuse banali. Ora per portare il caffè, ora per mostrare – sempre e solo a Lui – l’ultimo Rapporto di cui si era occupata. Pochi scambi di parole. Ancora tanto compiacimento di Lui che Lei era pronta a raccogliere avida.
Poi venne la sera.
E ancora si riunirono attorno al tavolo. Lui, Lei e La Signora. Il Fratello aveva preferito uscire. E aveva fatto bene.
Subito dopo, infatti, alLa Signora squillò il cellulare. Una telefonata privata. Talmente privata che si alzò e se ne andò a parlare in soggiorno. Lei sentì soltanto un “Sono a casa di un’amica” e poi più niente e subito ne approfittò.
Lei “Allora? A che punto sono le cose tra voi? E’ già la tua fidanzata?”
Lui si gongolò della domanda, sorrise e rispose che si stavano ancora conoscendo, che i tempi non erano ancora maturi, ma che comunque Lui ci provava.
Poi La Signora rientrò e furono interrotti. O almeno così pensò Lei, se nonché Lui, sorriso ingenuo stampato, esordì “Sai, mi ha chiesto se siamo fidanzati.”
Lei avvampò e sorrise spaesata. Forse anche La Signora avvampò. Anche se i fatti che seguirono, convinsero Lei che il rossore intravisto era frutto della sua immaginazione e non di timidezza o vergogna da parte delLa Signora.
La Signora “Ma… che dire?”
Lui “I fatti sono un po’ complicati a spiegarsi.”
Lui accarezzò la mano delLa Signora, la prese nella sua e con questa moina la incoraggiò a parlare.
Lei tentò di opporsi “Non è necessario che mi raccontiate.”, ma ormai era troppo tardi e La Signora, dopo un ampio respiro, con voce più flebile che mai, cominciò
“Ho già un Compagno io. Non ci vediamo mai, stiamo insieme solo durante le feste perché il resto dell’anno lui abita lontano, ma gli voglio molto bene e non vorrei mai fargli del male.”
Lui accondiscendente “Perché non le racconti tutto?”
Questa volta Lei scorse imbarazzo negli occhi delLa Signora. Vero imbarazzo, ma non abbastanza forse, perché, dopo un altro ampio respiro, La Signora continuò
“Nella mia vita sono stata molto sfortunata. Per vent’anni sono stata la compagna di un uomo sposato e mai, MAI, ho osato farmi avanti, pretendere qualcosa, né costringere lui a fare passi di cui non fosse convinto. Per vent’anni sono stata sola, nonostante un uomo al mio fianco, un uomo che ho amato e che a modo suo, mi ha amato e che ricordo ancora con tanto affetto. Solo che, un bel giorno, mi sono resa conto che non aveva senso e l’ho lasciato. E poi… poi ho incontrato il mio attuale Compagno. Vedovo e con figli. Figli che mi adorano. Sono appena arrivati per le vacanze estive e già mi hanno chiamata per capire come mai non mi sono ancora fatta vedere. Soprattutto la piccola, mi è tanto attaccata.”
Lui “Si, va bene, tutto bello, sembra però che io sia il cattivo, lo sfasciafamiglie. Racconta tutto.”
Lei “Non forzarla, magari non se la sente.” Era la seconda volta che provava a troncare il discorso. Per imbarazzo. Imbarazzo vero il suo. E in abbondanza. E per non ascoltare più la cantilena. Invano però, perché La Signora, ancora una volta, riprese la sua storia.
La Signora ” Il mio Compagno è tanto buono, ma siamo come fratello e sorella noi. Cerca di capirmi…” Lei (dentro) – Capire che? Forse nella monotonia della cantilena, ho perso il soggetto della frase… – La Signora “… Il mio Compagno riesce in tutto ciò che precede, ma arrivati al dunque, non ce la fa…” Lei (dentro) – Non ce la fa a fare che? Ho capito bene? Il problema, in pratica, è che non gli si alza? – La Signora “… E poi, all’Università della Terza Età, quest’anno, ho conosciuto Lui e me ne sono innamorata. E oggi ho deciso di venire qui per fargli e per farmi un regalo. Voglio sentirmi completamente donna, amata e desiderata, un’ultima volta. Poi, non rivedrò mai più Lui.”
Lui “Su, non dire così, hai sofferto tanto nella tua vita, cerca di pensare un po’ a te, alle emozioni che ti fanno star bene…”
Lei si alzò un po’ intontita. Ancora non era sicura di aver capito bene o forse aveva capito benissimo e sarebbe stato il caso di lasciare libera la casa. Così andò in camera, infilò le scarpe, si affacciò sulla porta della cucina dove La Signora, il viso nascosto tra le braccia di Lui, sembrava piangesse, e disse
“Ciao papà, io esco. Ci vediamo domani mattina.”
E uscì.