31 Dicembre

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di Sara Greco

[questo testo è stato letto da Tommaso Urselli al Teatro Out Off il 17 marzo 2003, nell’ambito di Città in Condominio, prima edizione]

***

Il trentun dicembre ho paura come i cani.
Metto la catena alla porta e aspetto contro il muro che finiscano gli spari. Le facce mi urlano addosso dalle piastrelle. Le risate mi esplodono attorno al letto come petardi.
Cosa fai da solo. Cosa fai da solo. Cosa fai da solo? Mi dicono dal pavimento. Sei malato. Sei malato. Sei malato? Mi chiedono dal soffitto.
Mi nascondo, ma vengono a cercarmi. Dentro la stanza, dentro il letto, dentro la coperta, dove sono nudo. Sgranano gli occhi, guardano intorno, guardano in giro, e non trovano nessuno. Nessun altro. Perché sono solo. Ridicolo. Incredibile. Mostro.
Mi additano, mi toccano, mi prendono, mi tirano e mi mettono alla finestra, a guardare fuori dove sono tutti. Dove sono tutti? Chiedo io, e tu non mi rispondi. Continui a parlare. E non mi senti. E non mi vedi. E non mi vieni a cercare.
Ma dove sei anche tu.
Non le senti le voci.
Non li senti gli spari.
Vieni a prendermi. Portami via di qui. Smetti di parlare ed esci. Adesso, che non se ne accorge nessuno. Respira con me. Qui, nel letto, contro il muro. Adesso, che stanno tutti insieme da un’altra parte, e con te ci sono solo io.
Cercami. Ascoltami. Parlami.
Come ho fatto io.
Quando ti volevo. Ti chiamavo. Mi sembrava di sentirti, e invece non c’eri. Ti cercavo, tra i rumori. Le voci. Le canzoni. Ti ho trovata e ho ascoltato solo te allora: nient’altro se tu non c’eri.
Ho conosciuto i tuoi vestiti. Le tue scarpe. I tuoi piedi. La tua storia. I tuoi scherzi. Le tue manie. I tuoi toni, le tue allusioni, le tue domande, le tue voglie, i tuoi gusti, le tue paure, i tuoi impegni, i tuoi orari: i tuoi pranzi le tue notti i tuoi amici la tua casa i tuoi gatti i tuoi tempi le tue bugie le tue nostalgie le tue canzoni i tuoi libri i tuoi attori. I tuoi sì. I tuoi no.
Adesso smettila di parlare, e toccami.
Perché non ho più la forza sai.
Ho paura. Mi guardano addosso. Vogliono sapere dove sei, capisci. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei. Dove sei.
Hai sentito? Manca poco e cominciano già ad urlare. Vienimi a prendere, ti prego. Portami via da loro, portami via. Come puoi. Come puoi non sentirmi? Fra dieci minuti, esplode tutto. Non farlo. Non lasciarmi qui, che ho paura. Mi vengono a prendere, capisci. Mi portano con loro, a ridere, a brindare. Mi mettono in mezzo, mi ballano attorno, mi ridono addosso, e non finiscono mai.
Prendimi. Fammi toccare dove sei. Da dove viene la tua voce. Il freddo che fa. Il muro com’è. La finestra dov’è. L’odore che c’è, e smettila.
Smettila di parlare. Non m’importa più niente delle tue storie, delle tue finzioni, delle tue battute. Non mi fanno ridere, hai capito. Non mi fai ridere. Voglio parlare io. Dirti io come sto. Io quello che ho fatto, che ho visto, che mi ricordo. Farti vedere cosa c’è in questa stanza. Farti stare zitta e farteli sentire, di sopra, di sotto, come gridano. Come chiedono di te.
Perché non vieni a salvarmi, tu che parli tanto.
Perché non vuoi toccarmi.
Perché allora non stai zitta.
Che cosa vuoi da me.
Dimmelo.
Dimmelo che cosa vuoi da me.
Non lo sai.
Non mi ascolti.
Io ti posso ammazzare.
Non ci vuole niente, e stanotte non se ne accorge nessuno. Un attimo e basta: ronzio, come prima di conoscerti.
Non mi credi.
Non sono capace.
Non ho il coraggio.
Ho solo te.
Ho paura.
Sono ridicolo.
E’ questo che pensi.
Ma ti sbagli.
Vedi: io posso farlo.
Non ci credi.
E invece.
Posso prenderti così. Anche se urli. Non m’importa. Non avrai mica paura. Parla, parla, continua a parlare. Che non ti ascolta nessuno. Che tanto siamo qui io e te, io e te, io e te.
Hai visto come ti cullo.
E adesso.
Apriamo la finestra.
Sentili come contano, che è già mezzanotte.
Cosa vuoi fare. Festeggiare magari.
Ma vogliamo vedere che non ho paura.
Vogliamo vedere che vinco io. Che se ti lascio non c’è nessuno a prenderti. Ma come mai? Ma dove sono tutti? Non dicevi: i tuoi amici, la tua famiglia?
Ma guardati. Ma ti vedi come stai cadendo? Ma ti vedi come sei ridicola, tu? Che continui a parlare e ridi e auguri, auguri? E poi ti schianti, e ti spacchi e resti, spezzata in due, quello che eri, radio.

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